In questi giorni spirano ancora una volta venti di guerra in quelle terre d’Africa che furono terreno del colonialismo italiano. Un pezzo di storia sul quale il nostra Paese ha sempre preferito non confrontarsi. Nel 1887 dopo che l’esercito italiano fu umiliato nella battaglia di Dogali dalle truppe dell’Impero Etiope, un deputato socialista tenne un discorso che ancora oggi servirebbe a farci ragionare su molte questioni che interessano il presente a partire dalla questione migratoria. Il deputato che con fervore si scagliò contro il colonialismo era Andrea Costa. Uomo politico che resta ai molti sconosciuto eppure è stato nel 1882 il primo deputato socialista eletto nel Parlamento italiano. La sua storia politica politica nasce negli ambienti anarchici. Fonda insieme con Bakunin la Lega Internazionale dei Lavoratori. La sua vita però, rispetto a quella degli anarchici classici, quelli perennemente sconfitti, dimostra una fine intelligenza politica. Costa, nel tempo, si avvicina agli ambienti socialisti e sarà uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano. La sua carriera istituzionale arriva a farlo diventare vicepresidente della Camera dei Deputati. Eppure non si separerà mai dal sogno della rivoluzione. Parteciperà a svariati moti, sarà più volte arrestato, godrà spesso dell’immunità parlamentare ma resterà sempre sulle barricate.
Andrea Costa rappresenta quella figura che, pur entrando nelle istituzioni, non si arrende ad un mondo condannato a dover vivere le sue ingiustizie come verità di natura. La sua vena anarchica gli consentì di avere sempre uno sguardo attento alle ingiustizie ed ai soprusi, stando sempre dalla parte degli ultimi e degli oppressi.
In questo suo discorso alla Camera dei Deputati, tenuto il 3 febbraio 1887 c’è tutta la forza di un uomo sempre in rivolta, tutta la sapienza ed il romanticismo dell’anarchico, tutta la passione del socialista.
Costa Andrea. “Signori! Poche e franche parole, non perché manchino gli argomenti, ma perché tengo anch’io conto delle condizioni della Camera, e capisco che in questi momenti ognuno di noi deve sforzarsi più che possa di esser breve.
Fin da quando nel maggio del 1885 si discusse la politica coloniale del governo (dico del governo, perché fu incominciata e continuata all’insaputa del Parlamento, ed il Parlamento non fu chiamato se non a mettere la sabbia su ciò che si era fatto), fin d’allora, io ed alcuni amici, riconoscendo che l’Italia, l’Italia vera, l’Italia che lavora e che produce, lungi dal desiderare una politica coloniale, voleva invece rivolte tutte le sue attività al suo miglioramento agricolo ed industriale, al suo progresso morale e politico; fin da allora, dico, noi presentammo un ordine del giorno in cui, opponendoci a tutte le velleità di spedizioni africane, che ci hanno dato i bei frutti che ora vediamo, proponevamo il richiamo delle truppe nostre dall’Africa.
Ora, di fronte all’avvenimento doloroso di cui diede un pallido cenno due giorni fa l’onorevole presidente del Consiglio, e per cui il cuor nostro sanguina come il vostro, di fronte a questo doloroso avvenimento, il nostro grido è lo stesso di due anni fa. Noi vi diciamo oggi, come allora: cessate da queste imprese pazze o criminose; richiamate le nostre truppe dall’Africa. E non ci lasciamo impressionare dalle frasi altisonanti di onore della bandiera, di prestigio militare, o che so io: tutta questa roba qui (Oh! oh!) è di quella che si adopera sempre per far passare la merce molte volte avariata. (Rumori a destra – Sì, sì, all’estrema sinistra).
Io non ho bisogno infatti di insegnarvi la storia; voi la sapete quanto o più di me, e sapete quante volte questi argomenti siano stati adoperati per fini più o meno ignobili.
La patria? Ma dove la vediamo noi nelle imprese africane? E la bandiera? La bandiera della patria la vedo sui campi di battaglia per la libertà e per la indipendenza, la vedo nelle imprese civili che fanno risalire sempre più la nazione verso le altezze dell’ideale; non la vedo, non la posso vedere nell’impresa africana.
E l’onore della bandiera?
Non è da questa parte che si deve render conto dell’onore della bandiera e del prestigio militare, ma dalla parte di coloro che siedono al governo o che il governo sostennero e sostengono; e davvero mal si invoca l’onore della bandiera quando, incominciando da Lissa e Custoza, questo onore è stato trascinato nel fango sino a Saati. (Vive proteste a sinistra, al centro e a destra).
Presidente (Con forza). Onorevole Costa, io non posso tollerare una simile affermazione; se la nostra bandiera è stata qualche volta sfortunata è stata però sempre onorata. (Vivi applausi da tutte le parti della Camera). Ascolti la voce del patriottismo, onorevole Costa! (Bene!).
Costa Andrea. È appunto per patriottismo ben inteso che io parlo, giacché non credo che sia patriottico il perseverare nell’impresa d’Africa. (Vive proteste a destra).
Presidente. Onorevole Costa, ella può esprimere la sua opinione, ma non offendere i sentimenti degli altri.
Costa Andrea. Credo che quei signori non abbiano il diritto di pretendere che io abbia sentimenti diversi da quelli che ho. (Rumori a destra).
Noi siamo altrettanto patrioti quanto loro …
Voci a destra. No! No!
Voci a sinistra. Sì! Sì!
Costa Andrea. e patrioti nel vero senso della parola. Giacché gli è appunto perché amiamo il nostro paese (Denegazioni a destra) che non lo vogliamo vedere impegnato in imprese pazze o criminose (Vive proteste a destra e al centro) dove, a quel che dite voi stessi, si può perdere anche l’onore …
Presidente. Ella, onorevole Costa, può dire imprese avventurose non mai criminose. Del resto il patriottismo non è il monopolio di nessuno, ed io non dubito che esso sia sentimento comune a tutta la Camera. (Approvazioni).
Costa Andrea. Onorevole presidente, se quei signori avessero verso di me la stessa tolleranza che io ho verso di loro, creda bene che non si verificherebbe ciò ch’ella deplora … (Rumori).
Presidente. Continui, onorevole Costa, continui il suo discorso.
Costa Andrea. Risponderò ad un’altra obiezione che mi si fa, e che è la più grave, inquantoché non viene solamente da quei banchi, ma viene altresì dai banchi dell’opposizione e pur troppo, mi duole il notarlo, anche da alcuni miei amici dell’estrema sinistra.
Si dice: infine in Africa ci siamo e bisogna restarci. Noi non possiamo, dopo una sconfitta, andarcene via con le pive nel sacco! Ora, signori miei, io capirei questo ragionamento, quando uno qualunque di voi potesse venirmi a dire che quando avremo accordato questi cinque milioni e mandato nuovi soldati in Africa, saremo sicuri di vendicare l’onore d’Italia e di ritornare gloriosi e trionfanti.
Ma io vi domando, o signori che sedete al banco dei ministri, a voi onorevole Genala, che sbagliate di un miliardo (Commenti), a voi onorevole Di Robilant, che confondete quattro predoni con un esercito agguerrito, potete darci voi questa sicurezza che, quando avremo votato i cinque milioni, saprete rivendicare l’onore d’Italia? (Bene! all’estrema. sinistra). No, o signori, voi non mi potete dare questa sicurezza: ed io alla mia volta, non vi darò un centesimo! (Rumori e risa ironiche).
Sì, lo capisco, siamo pochi noi quassù; il nostro ordine del giorno è firmato da quattro soli, lo capisco; ma siate certi, signori miei, che molto probabilmente, per non dirvi sicuramente, il nostro ordine del giorno avrà maggiore eco nel paese che le vostre pazzie africane, e tutte le vostre frasi di patriottismo. (Oh! Oh! – Vivi rumori a destra).
Presidente. Onorevole Costa, ella non deve chiamare frasi le manifestazioni di un sentimento che è nell’animo di tutti i suoi colleghi. (Bene!).
Costa Andrea. Ho finito. Il nostro ordine del giorno è tanto chiaro, che non credo abbia bisogno di ulteriore svolgimento.
Noi siamo convinti che esso corrisponda ai sentimenti della grande maggioranza del popolo italiano che lavora e produce, e che vi dà, alla fine, e gli uomini e il danaro …
Voce al centro. Lo rappresentiamo tutti!
Costa Andrea. E, concludendo, mi riferirò ad una frase pronunciata ieri l’altro dall’onorevole Baccarini, il quale in questo ordine d’idee è molto dissenziente da me. Egli disse che l’impresa africana è una impresa non nobile; or bene, noi, francamente, per una impresa non nobile, non ci sentiamo di dare né un uomo, né un soldo. Richiamate le milizie dall’Africa (Rumori) e vi apriremo tutti i crediti che chiederete, ma per continuare nelle pazzie africane, noi non vi daremo, ripeto, né un uomo, né un soldo.