Errico Malatesta, è uno dei pensatori anarchici più importanti della storia, il suo pensiero, la sua caparbietà, le sue sconfitte, le sue battaglie e la sua forza carismatica, hanno permesso che la sua figura fosse ricordata ancora oggi, nonostante il tentativo continuo, da parte di tutte le forze culturali, di lasciare nel dimenticatoio Malatesta con tutto il suo bagaglio di idee e pensieri.
Nacque a Santa Maria Capua Vetere il 14 dicembre 1853, in una antica famiglia della nobiltà, il padre era un proprietario terriero napoletano, ma Errico fin da bambino dimostrò la sua indole rivoluzionaria. Non aveva neanche 15 anni quando per la prima volta fu convocato in questura, prelevato dalla casa paterna dai gendarmi, per aver inviato una lettera sovversiva al re Vittorio Emanuele II.
La figura di Malatesta è romantica e affascinante come lo possono essere solo quelle degli anarchici, con la loro storia di uomini in fuga, abitanti del mondo che attraversano segnandolo. In Argentina fondò il primo sindacato nazionale, in Egitto fu a capo di una serie di rivolte, in Spagna partecipò alla rivolta di Jarez de la Frontiera, a Londra, dove visse per un lungo periodo, fu così amato negli ambienti politici e sindacali che il tentativo delle autorità britanniche di condannarlo fu contrastato da proteste di masse in tutto il Regno Unito. In Italia Malatesta, che nacque come repubblicano mazziniano, e si avvicinò agli ambienti anarchici diventandone il leader indiscusso, ancora oggi rappresenta la figura anarchica più conosciuta, durante la resistenza infatti la brigata anarchica fu battezzata “Brigata Malatesta” e potrà contare su circa 1.300 uomini. Del suo pensiero resta ancora oggi l’odio viscerale verso la guerra e verso ogni forma di violenza anche quella che portava il marchio anarchico. “Qualunque sia la barbarie degli altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell’umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà e per assicurare la vittoria della causa nostra, che è la causa del bene di tutti” con queste parole si scagliò con vigore, mentre era in sciopero della fame in carcere, contro gli attentatori anarchici del teatro Kursal Diana.
A Malatesta, alle sue sconfitte, al suo coraggio al suo pensiero e alla sua figura che oggi dovremmo ricordare e studiare, dedichiamo questa domenica con un suo discorso del 1922, un discorso tutto incentrato sul ruolo che i sindacati dovrebbero svolgere e che spesso dimenticano, un discorso da rivoluzionario, da anarchico, da uomo di pace e di giustizia.
“Io non farò qui dei complimenti a nessuno. Muoverò delle critiche perché queste servono sempre ad illuminarci.
E’ vero ch’io sono un caldo sostenitore dei sindacati perché in questi si allenano gli operai alla lotta, come è il caso dell’USI. Non credo però che il sindacalismo possa bastare a sé stesso perché se così fosse, esso verrebbe ad allontanare, se non addirittura ad eliminare la rivoluzione.
Nel sindacato non si può fare questione di partito. Tutti sacrificano in esso parte delle proprie idealità. Tuttavia ognuno ha diritto a svolgervi quella propaganda ispirata alle sue convinzioni politiche. Questo s’intende, per i membri del sindacato, che sono degli operai.
Compito degli anarchici, è quello di lavorare a rafforzare le coscienze rivoluzionarie tra gli organizzati e rimanere nei sindacati sempre come anarchici.
Vero che in molti casi i sindacati, per esigenze immediate, sono costretti a delle transazioni, a dei compromessi. Io non li critico per questo, ma è proprio per questa ragione ch’io devo riconoscere ai sindacati un’essenza riformista.
I sindacati fanno opera di affratellamento tra le masse proletarie ed eliminano i conflitti che altrimenti potrebbero prodursi tra lavoratori e lavoratori.
Mentre i sindacati debbono fare la lotta per la conquista dei benefici immediati, e del resto è giusto ed umano che i lavoratori domandino dei miglioramenti, i rivoluzionari sorpassano anche questo. Essi lottano per la rivoluzione espropriatrice del capitale e l’abbattimento dello Stato. Di ogni Stato, comunque si chiami.
Poiché la schiavitù economica è frutto di quella politica, per eliminare l’una, bisogna abbattere l’altra, anche se Marx diceva l’opposto.
Perché il contadino porta il grano al padrone?
Perché v’è il gendarme ad obbligarvelo.
La lotta deve essere combattuta sul terreno politico per distinguere lo Stato.
Gli anarchici non vogliono dominare l’USI; non lo vorrebbero neppure se tutti gli operai ad essa aderenti fossero anarchici, né essi intendono assumere le responsabilità nelle transazioni.
Noi che non vogliamo il potere, desideriamo le coscienze soltanto; sono coloro i quali desiderano dominare che preferiscono avere delle pecore per meglio guidarle.
Preferiamo degli operai intelligenti, fossero anche nostri avversari, a degli anarchici che siano tali solo per seguirci pecorilmente.
Vogliamo per tutti la libertà: vogliamo che la rivoluzione la faccia la massa per la massa.
L’uomo che pensa col proprio cervello è preferibile a quello che ciecamente approva tutto. Per questo, come anarchici, siamo per l’USI, perché questa sviluppa le coscienze nella massa. Vale meglio un errore commesso con coscienza, credendo di far bene, che una cosa buona fatta servilmente.”
a cura di Claudio Mazzone