Tablet al posto delle valigie: ma vanno via lo stesso

E' come se mezza Napoli o l'intera Irpinia fossero scomparse

Napoli.  

I numeri saranno anche freddi e senza poesia Però i numeri non sono punti di vista né opinioni su cui discutere. Sono numeri, quindi scienza esatta. E i numeri, le cifre, dicono che nell'ultimo ventennio dalla Campania, dal 1997 al 2017, sono emigrate oltre 463 mila persone, e naturalmente sono quasi tutti giovani. Lo dice il report «Mobilità interna e migrazioni internazionali della popolazione residente» che è stato diffuso dall’Istat in questi giorni analizzando i dati emersi dall'ultimo censimento in Italia. Per dare un'idea suggestiva ma realistica è come se mezza Napoli si fosse svuotata negli ultimi venti anni. E per gli appassionati di cifre aggiungiamo che il trend negativo è cresciuto dal 2009 quando la fuga dalla Campania era di 316.345 persone. Nel 2013 è salita a 402.793 cittadini e nel 2017 fino a 463.994. Quasi mezzo milione di persone che si sono guardate intorno, hanno guardato in se stesse soprattutto, e hanno capito che l'unica possibilità di giocarsi il futuro con qualche carta a disposizione sarebbe stata quella di fare un chech in in aeroporto oppure prendere un treno. Certo, con modalità diverse da una volta: oggi l'emigrazione è 2.0. Con un trolley al posto della valigia di cartone, un tablet anzichè una provvista di bottiglie di pomodori. E in particolare il dato avvilente per questo Mezzogiorno piegato e piagato è rappresentato dal fatto che in venti anni 12 laureati su 100 sono andati via dal Sud. Verso il Nord, verso l'Europa che è ancora tanto lontana dalle regioni del Meridione. E si parte, per capire cosa può succedere, come facevano i nonni negli anni del boom economico di cui al Sud si sentivano soltanto i boati in lontananza e si favoleggiava di benessere, frigoriferi, auto a rate e addirittura bagno in casa.

E poi dal nord lontano gli emigranti tornavano, inizialmente, almeno una volta all'anno a Natale, oppure a Pasqua, o per le ferie estive o per il giorno dei morti.
Poi progressivamente quei ritorni si diradavano: stiamo mettendo i soldi da parte, scrivevano con grafia tremante per l'emozione e per la terza elementare abbandonata per andare a zappare.

Forse, scrivevano, riusciamo a fare il mutuo per la casa. E al loro posto arrivava, in posti spesso conosciuti solo dalle carte stradali, una foto in bianco e nero, in posa davanti alla Seicento bianca tirata a lucido, o accanto al televisore al centro della parete del soggiorno come un altare, lui in giacca cravatta e camicia bianca e lei con i capelli cotonati e un cappotto grigio enorme.

Quelle immagini tutte uguali di quei cappotti tutti uguali di lana doppia finivano poi religiosamente sui comò delle case di quei borghi spesso sconosciuti, aggrappati alla montagna, accanto alla fotografia del nonno seduto austero con i baffi e l'abito della festa, e della nonna in piedi, seria e vestita di nero.
"Mio figlio sta a Milano, sta in fabbrica" dicevano orgogliose le madri di quei posti del Sud sconosciuto e senza destino, gonfiando il petto da cui pendeva un medaglione con il ritratto di qualche antenato di cui si cercava di non perdere la memoria.