di Simonetta Ieppariello
Prostitute, rom e roghi. Benvenuti a Ponte Riccio una parrocchia nell’inferno della Terra dei Fuochi. In fondo. Tra Giugliano, Qualiano, Quarto. quei paesi che sembrano addossarsi per diventare lo sversatoio della Campania. Anche il parroco è esasperato. Prega e si dispera per una zona diventata, ovviamente senza volerlo, la toilette della Campania intera.
Auto a tutta velocità sfrecciano sulla Circumvallazione che lega come una fitta trama di un ragno quei paesi in fondo alla Terra dei Fuochi. Giugliano, Qualiano, Calvizzano, Quarto e altri paesi sembrano una unica grande città diffusa tra cumuli rifiuti, l’odore pesante dei roghi che bruciano, i campi rom, le prostitute che ammiccano su tacchi alti e abiti succinti, la Resit. Con don Rocco Barra viceparroco di Lago Patria affrontiamo un viaggio all’inferno lungo le strade di una statale che mostrano in un raggio di pochi chilometri il degrado di una terra dimenticata e lasciata in pasto alla malavita.
Ponte Ricco, Don Luigi Pugliese continua a combattere in fondo a quell’inferno nella terra dei fuochi, nella sua parrocchia dal pulpito nelle case, nelle zone degradate in cui le persone fanno fatica ad avere fede. Prostitute che vendono il proprio corpo, disinvolte, svestite e accanto a loro una croce. Quella della prostituzione fuori alla Chiesa “Stella Maris” di Varcaturo è una battaglia vecchia. No, non è una questione di pubblica decenza, ma di lotta alla malavita al business di chi fa lucro sulla vendita di corpi. La statale 162 e la sua geografia complessa. Campi Rom, sono due e continuano a bruciare tutt’intorno rifiuti. La Chiesa guidata da don Luigi Pugliese è l'unico luogo di aggregazione per i residenti della zona La parrocchia, ex colonia marina, sorge in prossimità di una delle discariche più famigerate della Campania ovvero la Resit.
Sì la Resit, la morte, l’aria carica di diossina che uccide infesta, ammorba. Finestre chiuse, preghiere e lapidi. Nella sagrestia del parroco ci sono centinaia di foto ricordo, luttini di persone morte di cancro nella Terra dei Fuochi che uccide. In un angolo quelle dei bambini. sono troppe gli occhi di don Luigi si fanno lucidi quando ci racconta quelle storie dei piccoli angeli volati in cielo. «Ogni giorno mi guardo intorno e vedo nella mia sagrestia tutte le foto dei miei amici, parenti, fedeli morti - spiega don Luigi -. Ricordo Giada, sei anni, e poi Stefano e poi la nostra Francesca. Lei è il simbolo. Nel suo nome, nel suo viso c’è tutta la nostra disperazione. Ma no, non dobbiamo arrenderci. Troppi morti di cancro ma troppo dolore per soccombere, accettare subire. Dobbiamo gridarlo il nostro dolore. Qualcosa deve cambiare».