di Siep
Fabio non chiedeva lussi o sussidi. Fabio chiedeva un posto di lavoro. Precario da una vita, scartato dallo Stato per raggiunti limiti di età, Fabio l’ha fatta finita. Non ha retto a quella stabilizzata arrivata per alcuni ma non per lui, dopo anni da precario nei vigili del fuoco. Ha scritto parole di addio. Ha voluto spiegare perché non è più riuscito ad andare avanti. Si sono tenuti i funerali di Fabio De Muro 42 anni non ancora compiuti che ieri ha deciso di farla finita nella sua auto a Qualiano a due passi dalla stazione.
In quella lettera la storia di una vita tutta in salita a spingere e cercare ogni giorno una sua dimensione, un lavoro, un posto nella società. C’è rabbia che si mescola nelle lacrime che scorrono su visi solcati dallo choc. Un lungo applauso ed un picchetto formato da una delegazione dei vigili del fuoco ha accolto l'arrivo della salma nella parrocchia Maria SS. a Qualiano. Tanti colleghi ed amici hanno voluto dare l'ultimo saluto a Fabio. La cerimonia è stata officiata da don Francesco Martino
Questa è la storia di Fabio De Muro, vigile del fuoco discontinuo, che si è ucciso per quel casco che, anche in morte, sembra non adattarsi a lui e scivola via, rotolando sul sagrato della chiesa dell’Immacolata di Qualiano. Dopo nove anni di precariato Fabio non è stato stabilizzato. Il limite fissato dallo Stato è stato di 37 anni. Lui di anni ne aveva 41 e come altri migliaia di precari è stato scartato.
Dodicimila in tutta Italia. E’ tutto scritto in quella lettera che Fabio ha lasciato ai suoi cari prima di farla finita.
«Sono un prigioniero della precarietà. Sono morto da un pezzo». C’erano altri precari ai funerali e sono sputanti i cartelli di una protesta che fa da eco alla disperazione profonda che ha travolto Fabio.
Il parroco dell’Immacolata, don Francesco Martino, lo ha detto chiaramente nella sua omelia.
«Fabio non chiedeva il lusso o un sussidio - ha detto il parroco -. Fabio chiedeva solo un posto di lavoro. Chiediamo perdono per le omissioni, nostre e della politica, di chi ha scelto di far finta di non vedere e non sentire e l’ha indotto a disperazione. La depressione è una malattia terribile. Un tunnel che ti acceca e che non ti fa vedere nemmeno la vicinanza degli amici e dei familiari che ti sono intorno. Fabio - ha detto il parroco - non era solo ma si sentiva solo. E noi oggi siamo qui per pregare per la sua anima. Fabio non è stato aiutato da uno Stato e da una politica che dovrebbe fare leggi più giuste e che invece se ne infischia».
In prima fila ai funerali c’era il sindaco Ludovico De Luca ed il comandante provinciale dei vigili del fuoco, ingegner Gaetano Vallefuoco. La lettera di Fabio resta impressa nei cuori di tutti. F
In quella lettera, allora, c’è la disperazione di chi non riesce a lavorare in una società che tutto consuma e tutto divora: “i governanti padroni delle nostre vite dovrebbero prima fare dei corsi di sopravvivenza per poi decidere del nostro futuro. Ma io sono un idealista schiacciato dalla pressione della vita (…) Chiedo perdono a mia mamma perché in nessun caso i genitori dovrebbero veder morire i propri figli. Ma la depressione mi ha divorato l’anima… Auguro una buona vita a tutti – continua – soprattutto ai miei nipoti che amo… ai miei amici e amiche sia di Napoli che di Brescia”.