La Corte d'Assise d'Appello di Napoli (quarta sezione, presidente Loredana Acierno, giudice a latere Vincenzo Alabiso) ha confermato la condanna all'ergastolo inflitta lo scorso 12 aprile ad Elpidio D'Ambra, il 31enne reo confesso dell'omicidio di Rosa Alfieri, la 23enne strangolata il primo febbraio 2022 per essersi ribellata, secondo quanto accertato dagli inquirenti, ai tentativi di abusi sessuali del suo vicino di casa che, con una scusa, l'aveva attirata nel suo mini appartamento di Grumo Nevano (Napoli).
La sentenza è stata emessa dopo una Camera di Consiglio durata qualche ora. Presente in aula, tra gli altri, il padre della giovane vittima, Vincenzo Alfieri, e il suo legale, l'avvocato Carmine Biasiello. Subito dopo l'arringa del legale del padre della vittima, che si è associato alla richiesta della Procura Generale, l'imputato ha chiesto e ottenuto la facoltà di rilasciare delle dichiarazioni spontanee durante le quali ha chiesto di nuovo perdono alla famiglia di Rosa: "Non stavo bene - ha detto D'Ambra - ero sotto l'effetto del crack e della cocaina.
Dopo l'omicidio sono scappato perchè nel condominio dove abitavo c'erano anche tanti familiari della povera Rosa e temevo che mi uccidessero". L'imputato ha poi ripercorso le tappe della sua fuga da Grumo Nevano a Napoli: "Ero in preda all'ansia, ho bevuto due cocktail e poi ho comprato un 'gratta e vinci' per fare soldi da usare per scappare". "Mi sono cambiato d'abito perchè avevo addosso i vestiti sporchi da lavoro, faccio l'imbianchino - ha detto ancora l'imputato - e i graffi sul viso me li sono fatti lavorando, non è stata Rosa. Mi sono sentito male e per questo sono andato in ospedale. Non volevo violentarla", ha infine detto D'Ambra. Al termine della sua requisitoria, nell'aula 320 del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli, il sostituto procuratore generale Daniela Della Pietra ha chiesto la conferma dell'ergastolo. Presenti anche gli avvocati Celeste Giliberto e Gianmario Siani della fondazione Polis, che si è costituita parte civile. L'imputato è stato difeso, come in primo grado, dall'avvocato Luigi Cuomo che, durante la sua arringa, ha sostenuto l'insussistenza dell'aggravante dei futili motivi.