I preoccupanti dati americani sui giovani nel post-covid

Mortalità in aumento causato dalla pandemia, sorprendono i dati sui più giovani

i preoccupanti dati americani sui giovani nel post covid

La pandemia non ha fatto altro che rendere manifesto e deflagrante un fenomeno già preesistente, per quanto poco attenzionato, sia allora che ora, da media e istituzioni

Napoli.  

Il 13 marzo scorso è apparso sulla prestigiosa rivista scientifica americana di medicina interna, JAMA, un articolo dal titolo evocativo, "La nuova crisi dell'aumento di mortalità per tutte le cause nei bambini e negli adolescenti statunitensi".

Alla sua autrice di riferimento, Elisabeth Wolf, pediatra di fama internazionale, va ascritto un incipit sconcertante.

"La pandemia di COVID-19 - afferma la ricercatrice della Virginia Commonwealth University School of Medicine di Richmond insieme con i coautori della pubblicazione - ha provocato un forte aumento della mortalità tra gli anziani, un risultato non sorprendente. Tuttavia, anche i tassi di mortalità pediatrica sono aumentati e il COVID-19 ha contribuito poco a questo aumento. Questo aumento della mortalità pediatrica per tutte le cause ha implicazioni minacciose. Una nazione che inizia a perdere la sua popolazione più amata, i suoi figli, affronta una crisi come nessun'altra."

Sebbene la maggior parte dell'aumento della mortalità pediatrica nel nord America sia attribuibile ai decessi tra i bambini più grandi (età 10-19), anche la mortalità per tutte le cause nei bambini più piccoli (età 1-9) è aumentata nel 2021 dell'8,4%. I neonati (<1 anno) sono invece stati l'unico gruppo di età che non ha registrato un aumento significativo della mortalità. Secondo l'articolo, infatti, solo nel biennio 2020-2021 si sono registrati negli Stati Uniti tassi impressionanti di incremento della mortalità, soprattutto nei grandi centri urbani, nei maschi e nella popolazione nera, con incrementi che vanno dal 30 al  60% a seconda delle diverse cause. Responsabili di questa crescita rapida ed esponenziale sono state le violenze familiari, le malattie psichiche con gli abusi di psicofarmaci, i suicidi e gli omicidi (con un dilagare senza precedenti dell'uso delle armi da fuoco), gli incidenti automobilistici e l'uso di ogni tipo di droghe.

Tanto da far così concludere alla Wolf: "La medicina e la sanità pubblica hanno compiuto notevoli progressi nell'abbassare i tassi di mortalità pediatrica, ma le vite che hanno salvato sono ora minacciate da agenti patogeni artificiali. Proiettili, droghe e automobili stanno ora causando un numero di vittime tra i giovani sufficiente a elevare i tassi di mortalità per tutte le cause, il più grande aumento di questo tipo nella memoria recente. Senza un'azione coraggiosa per invertire la tendenza, il rischio dei bambini di non raggiungere l'età adulta potrebbe aumentare."

A questi dati già di per sé allarmanti provenienti da oltreoceano facevano da contraltare quelli poco rassicuranti prodotti dalla vecchia cara Europa. Qui, infatti, già in epoca pre-covid, 9 e più milioni di adolescenti (tra i 10 e i 19 anni) convivevano con un disturbo legato alla salute mentale e il suicidio era la seconda causa di morte tra i giovani con 3 ragazzi al giorno che si tolglievano la vita, come emergeva da un rapporto Unicef  presentato ad agosto 2022 dal titolo "La condizione dell'infanzia nel mondo: nella mia mente".

Solo gli incidenti stradali causavano più decessi tra i giovani di quell'età. Circa 1.200 bambini e adolescenti fra i 10 e i 19 anni ponevano fine alle loro vite ogni anno nel vecchio continente. In Italia si stimava che, nel solo 2019, il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni soffrissero di problemi legati alla salute mentale, circa 956.000 in totale.

La percentuale di suicidio nel 2019 fra i ragazzi era stimata essere più del doppio rispetto alle ragazze, rispettivamente il 69% e il 31%, e la fascia di età più colpita era fra i 15 e i 19 anni. La quota di problemi legati alla salute mentale per i ragazzi e le ragazze in Europa fra i 10 e i 19 anni era del 16,3%.

"La pandemia da Covid-19 ha evidenziato diversi fattori che hanno messo a rischio la nostra salute mentale: isolamento, tensioni familiari, perdita di reddito" - dichiarò in quei giorni Sua Altezza Reale la Regina Mathilde del Belgio intervenendo alla presentazione del Brief all'Unione Europea a Bruxelles". E concluse - "Troppo spesso i bambini e i giovani portano il peso di tutto questo".

La pandemia, in effetti, non ha fatto altro che rendere manifesto e deflagrante un fenomeno già preesistente, per quanto poco attenzionato, sia allora che ora, da media e istituzioni, portandolo anche in Europa a valori ormai prossimi a quelli statunitensi. Le ragioni sono molteplici e ben poche, a mio giudizio, modificabili, a meno di non intervenire su costumi e comportamenti che sembrano ormai tanto radicati da aver preso, temo ormai irreversibilmente, la piega del degrado sociale e della incompiutezza personale.

Una classe genitoriale sempre meno dedita al suo compito naturale di educatrice e di esempio - essa stessa preda di quei social network che tanto danno hanno fatto e fanno ai loro figli - e un corpo docente sempre più demotivato e sempre meno formato e finanziato - e che ha spesso delegato il mezzo informatico a rappresentarlo nel processo di sostentamento culturale e morale dei ragazzi - sono due dei principali motivi di una gioventù ormai allo sbando, alla costante e spesso inconsapevole ricerca di una identità che la metta al riparo da "inganni e maldicenze" e le assicuri scampoli duraturi di benessere interiore e felicità non fittizie. Al di là delle pur meritevoli indagini epidemiologiche e delle spesso vergognose comparsate politiche, questo è il tempo di intervenire, prima di ritrovarci in casa un nuovo (e mortale) malcostume tutto americano da combattere e a cui verosimilmente soccombere.

*Neurologo, responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento