Si è spento un faro alto di fede, pace e amore: resta la luce del Vangelo

Avevamo sperato fino all'ultimo contro ogni evidenza...

si e spento un faro alto di fede pace e amore resta la luce del vangelo

Addio, Papa Francesco. Grande Uomo, grande Pastore. Grazie, per tutto quello che ci hai insegnato in questi dodici indimenticabili anni

Napoli.  

C’è stato un momento in cui abbiamo sperato, fino all’ultimo, contro ogni evidenza. E lui, Papa Francesco, ci ha lasciato sperare. Con il suo sorriso sempre vivo, anche quando l’asma lo stringeva durante la benedizione Urbi et Orbi, nel giorno di Pasqua. Quel sorriso, quella dolcezza, quella vicinanza: erano la sua forza. E adesso che si è spento, resta la sua eredità immensa, fatta di una fede vissuta, prima ancora che predicata, guidata unicamente da una bussola mai abbandonata: il Vangelo.
Il suo addio ha colpito il mondo intero, non solo quello cristiano. Ha scosso anche uomini e donne di altre religioni, che in lui avevano trovato un ponte, un ascolto, una mano tesa. Così, da ogni parte, è giunto un coro unanime, al di là delle fedi: dolore sincero, rispetto, gratitudine. Perché il suo Pontificato, tra i più complessi, discussi e luminosi della storia moderna, ha avuto il coraggio di affrontare temi spinosi, mettendo sempre al centro il bene dell’Umanità, senza barriere né distinzioni.

È stato un apostolo del dialogo in un mondo attraversato da guerre e divisioni

Sempre con una certezza: la parola data da Dio all’Uomo resta la vera ricchezza. “Parlatevi, parlatevi sempre”, ripeteva. In famiglia, tra popoli, nelle comunità. E poi, quelle tre parole magiche: permesso, grazie, scusa… che per lui dovevano essere incise ovunque, nei palazzi del potere come negli angoli più dimenticati del mondo.
E mentre i messaggi di cordoglio si moltiplicano – da Capi di Stato, da personalità delle Istituzioni, della cultura, dello sport e dalla gente comune – resta una verità condivisa: abbiamo perso un grande Papa. Un Papa umile, coerente fino in fondo con quel nome, Francesco, ispirato al Santo di Assisi. Un nome che fu subito un programma, una scelta di campo, sin da quel 13 marzo 2013, quando si affacciò dal loggione di San Pietro e si presentò al mondo con parole semplici e vere: “Vengo da un Paese della fine del mondo”. Da quel giorno, quella distanza geografica si trasformò in una vicinanza quotidiana al cuore dell’umanità.
Rifiutò l’appartamento papale, scelse Santa Marta: una casa piccola, comoda, da parroco. Per continuare a sentirsi tra la gente, con la gente. E in quel suo modo diretto e sincero di essere Papa, c’era tutta la grandezza del suo magistero. Non si è mai tirato indietro. Finché ha potuto, ha lavato i piedi il Giovedì Santo, ha viaggiato nei luoghi più remoti, sfidando fatiche e protocolli, pur di portare la pace. Lo faceva a modo suo, ma lo faceva sempre. E ora che è andato via, sembra di sentire le parole di Padre Pio: “Farò più rumore da morto che da vivo”. Sì, anche Papa Francesco continuerà a parlare, attraverso il suo testamento spirituale, pieno di coraggio e amore sconfinato.

Il mio libro dei ricordi

E qui, ora, apro il mio libro dei ricordi. Ne conservo uno che brilla più di tutti nei quattro incontri avuti con il Pontefice: era un freddo mercoledì di febbraio del 2014. Con mia moglie Mena, reduce da un delicato intervento cardiaco, ebbi l’onore di partecipare alla Messa delle sei del mattino nella cappella privata di Santa Marta. L’atmosfera era surreale: un gruppo ristretto di cardinali, poche suore, una decina di fedeli stranieri, il silenzio. Poi, lui: apparve accanto a noi, in pantofole. Salutò con un sorriso e iniziò la celebrazione. Ogni parola aveva il peso della verità, ogni gesto il sapore della santità. Dopo la Messa, si avvicinò. Un invito alla preghiera per la pace, poi quei sette minuti, intensi, profondi, privati. Ci parlammo. Gli donammo un Rosario fatto dai detenuti di Poggioreale, ricevendone uno del Vaticano. E infine, congedandoci, ci lasciò con poche parole che porterò nel cuore finché vivrò: “‘A Maronn v’accumpagn’”, era quello il saluto del cardinale Crescenzio Sepe. 
Addio, Papa Francesco. Grande Uomo, grande Pastore. Grazie, per tutto quello che ci hai insegnato in questi dodici indimenticabili anni.