Funerali De Simone, Battaglia: "Chi vive di bellezza non si accontenta di ombre"

L' omelia dell' Arcivescovo: "Mi ha raccontato della sua passione per il presepe"

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Napoli.  

Di seguito il testo dell' omelia dell' arcivescovo Battaglia per i funerali di Roberto De Simone:

Sorelle, fratelli,

oggi non siamo qui per dire addio. Siamo qui per dire grazie. Grazie a un uomo di arte, di cultura, di fede. Siamo qui per dire il nostro grazie al Maestro Roberto De Simone. Non stiamo assistendo alla chiusura di un sipario, attenzione! Ma, piuttosto, all'apertura di un nuovo paesaggio, di un nuovo palcoscenico, alla scrittura di nuovi versi e pagine, scritte con l'inchiostro della fede e il colore della speranza. Siamo qui per dirgli grazie perché ci ha insegnato che la vita è un canto, che la fede è una danza, che l’arte è il respiro di Dio che è possibile ascoltare tra le pieghe della storia, della storia feriale, quotidiana. E siamo qui per affidarci a quella Parola che oggi ci consola: “Chi crede in me, anche se morto, vivrà” (Gv 11,25).

Il nostro Maestro Roberto lo sapeva bene: la vita è una partitura che si suona fino all’ultima nota, e poi si lascia che la melodia continui altrove, più limpida, più piena, più vera.

In un nostro incontro, durante le feste natalizie, era proprio lui a confidarmi questo suo desiderio di pienezza. Lo sentiva, lo cercava, lo evocava nelle sue parole e nelle sue note. Perché chi vive di bellezza non può accontentarsi delle ombre: ha bisogno di luce. E oggi siamo qui proprio per riconoscere che questa luce lo ha raggiunto, lo ha accolto, lo ha avvolto in quell’armonia perfetta che il cuore umano può solo intuire.

Sapete, nei nostri ultimi colloqui in casa sua mi ha confidato due cose: il suo amore per Cristo bambino, raccontato dall'incanto del presepe e per sua Madre, Maria. Per il Maestro il presepe non era solo una rievocazione di un evento lontano, e neanche una rappresentazione esclusivamente natalizia. Proprio per questo era sempre nella sua camera da letto, anche durante il tempo della malattia, come una vera e propria icona dinanzi a cui pregare, colloquiare, portando ai piedi del Bambino di Betlemme, la Betlemme di oggi, che è il nostro cuore, il cuore dell'uomo, che è la città, la nostra città con le sue fragilità, le sue speranze, la sua attesa di salvezza. Non a caso una delle sue opere più famose è dedicata a questo mistero, raccontando con uno stile vivace e a tratti grottesco l'attesa del Messia vista con lo sguardo sacro e profano insieme della gente semplice, del popolo. La sua “Cantata dei Pastori” ci ricorda che Dio non ha scelto i palazzi del potere per manifestarsi, ma una grotta umile, il cuore semplice della gente. Ci dice che la salvezza non arriva dal fragore delle armi o dalla ricchezza ostentata, ma dalla tenerezza di un bambino, dalla povertà assunta, dall'amore donato.

Un altro suo amore grande era la Vergine Maria, contemplata soprattutto nel mistero del suo dolore. Non a caso mi aveva chiesto di poter rappresentare proprio in questa Cattedrale un'importante opera, da lui tanto amata, dedicata al Canto della Vergine Addolorata. Per Roberto, Maria, con il suo volto rigato di lacrime, era l’immagine stessa di Napoli e dei suoi figli, della sua storia, del suo dolore, ma anche della sua resistenza e della sua bellezza. Nella sua visione artistica, di un'arte direi profondamente radicata nella teologia, Maria non era solo la Madre del Cristo sofferente, ma anche sua madre, la madre di tutti i dolori del mondo, di tutte le ferite della storia. Eppure, proprio negli occhi lacrimanti di Maria, il Maestro trovava anche una promessa di futuro. Perché se Napoli, se il mondo è pieno di piaghe aperte e sanguinanti, nel cuore di queste stesse ferite il Signore vi ha piantato infiniti semi di speranza. Maria, in piedi sotto la croce, è così attesa, è fedeltà, è certezza che dopo ogni Venerdì Santo c’è l’alba pasquale della Resurrezione! Non potrò mai dimenticare che il nostro ultimo congedo è avvenuto proprio con un “Ave Maria” pregata insieme, mano nella mano. E oggi, nel salutare il nostro Maestro Roberto, mi piace pensarlo proprio accanto a Maria, felice, risollevato da ogni dolore, in un dialogo senza parole fatto di musica e silenzi. Lui che ha dato suono e voce alla bellezza della tradizione popolare, oggi entra nel mistero della Bellezza infinita. E forse, in quell’incontro, ha ritrovato l’armonia più grande, quella che ha sempre cercato, anche nei momenti in cui sembrava smarrirsi tra le dissonanze del mondo. Perché, diciamocelo: non sempre i luoghi degli uomini risuonano di autentica bellezza, e perfino le nostre comunità, a volte, ospitano più farisei che fratelli.

Me lo disse lui stesso, quando andai a trovarlo in ospedale. Mi guardò e, con quel suo sguardo diretto che non lasciava spazio a giri di parole, mi chiese: “Don Mimmo, perché in questa stanza non c’è il crocifisso?” Gli spiegai che era forse per rispetto delle persone di altre fedi, magari musulmani.

E lui, senza esitare: “Don Mimmo, il Signore forse vuol bene più ai musulmani che a tanti cristiani farisei.”

Era fatto così, il Maestro. Schietto, vero, capace di affondare le parole come scalpelli nella pietra dura dell’ipocrisia. Ma sempre con l’intento di costruire, mai di demolire. Perché nel profondo sapeva che la musica più bella è quella che nasce dall’incontro, dalle differenze che si riconoscono e si accolgono. E chissà, forse proprio ora sta ascoltando la melodia più grande, quella che ha cercato per tutta la vita.

Sorelle, fratelli, Roberto ha cercato e ha creduto. Ha creduto nella bellezza, nella verità, nell’arte come soffio di eternità. E ha cercato di seminare bellezza e fiducia intorno a se, la cui anima ha custodito nei suoi scritti, nelle sue opere, nel suo cuore, con una vigilanza e una fedeltà che dicono la cifra dell'amore che nutriva per la sua Napoli. Napoli infatti non è stata solo il luogo della sua nascita, ma il grembo culturale da cui ha attinto per parlare al mondo attraverso la sua arte. Come un archeologo dell’anima popolare, Roberto ha scavato nelle viscere della città, riportando alla luce suoni, canti, rituali dimenticati. Ha dato dignità e nuova vita alla tradizione orale, trasformando il folclore in un affresco teatrale prezioso e unico. Ha smontato e ricomposto la musica napoletana, l’ha studiata con rigore, l’ha contaminata con nuove forme espressive, l’ha elevata a patrimonio universale. Grazie a lui, la città ha riscoperto la sua anima sonora più autentica, quella che risuona nei vicoli, nelle feste popolari, nelle processioni, nei lamenti e nelle tammurriate.

Amici tutti, carissimi familiari del Maestro, oggi anche la Chiesa di Napoli dice il suo “grazie” al Maestro Roberto per la sua arte. Sapete, pensando a lui mi sono venute in mente delle parole bellissime di Papa Francesco, rivolte agli artisti. Il Papa diceva loro: “Siete alleati del sogno di Dio! Siete occhi che guardano e che sognano (...). Voi artisti avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo (...). La capacità d’introdurre novità nella storia(...), la vostra arte vuole agire come coscienza critica della società, togliendo il velo all’ovvietà. Volete mostrare quello che fa pensare, che rende vigili, che svela la realtà anche nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti che è più comodo o conveniente tenere nascosti. Come i profeti biblici, ci mettete di fronte a cose che a volte danno fastidio, criticando i falsi miti di oggi, i nuovi idoli, i discorsi banali, i tranelli del consumo, le astuzie del potere (...). E spesso lo fate con l’ironia, che è una virtù meravigliosa” (Discorso del Santo Padre Francesco agli Artisti, 23 giugno 2023).

Ecco, se c’è un tratto distintivo nell’arte di Roberto De Simone, è proprio questa ironia profonda e mai superficiale, questa capacità di svelare le contraddizioni della nostra società senza perdere la leggerezza, senza rinunciare alla bellezza. La sua opera è stata uno specchio in cui Napoli si è potuta guardare: nei suoi splendori e nei suoi eccessi, nelle sue grandezze e nelle sue miserie. Con la musica, con il teatro, con la ricerca storica, ha tolto il velo all’ovvietà, ha smascherato le ipocrisie, ha dato voce a chi non ne aveva. Ha fatto pensare, ha reso vigili, ha svelato la realtà.

E allora, sorelle e fratelli, come possiamo raccogliere l’eredità del Maestro?

Forse imparando a guardare il mondo con il suo stesso sguardo: uno sguardo lucido, capace di vedere la realtà nelle sue contraddizioni, senza mai però disperare. Uno sguardo profondo, che affonda nelle radici senza rimanerne prigioniero. Uno sguardo ironico, che smaschera i falsi miti senza perdere il sorriso. Uno sguardo di fede, una fede semplice e forte, granitica e leggera al contempo, una fede che è stata la sua amica più fedele proprio nel tempo della sofferenza, riempiendo le sue giornate, abitando i suoi silenzi, facendo della sua solitudine un dialogo incessante con il Signore.

É a questo dialogo ininterrotto con il Signore che noi affidiamo Roberto, chiedendogli di non lasciarci soli ma di continuare - attraverso non solo la sua arte ma anche attraverso la sua preghiera - a ricordarsi di noi. Di tutti coloro che lo hanno amato. Dei suoi familiari ed amici. Dei tanti artisti che ha aiutato ad emergere, a crescere, a far fiorire il proprio talento. Di tutta la sua Napoli. E anche di questo Vescovo che ha avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli amico.

 

Caro Maestro,

oggi ti salutiamo, è vero ma non ti lasceremo andare nell'oblio del passato perché abbiamo ancora bisogno della tua arte, del tuo sguardo, così acuto, così capace di scardinare le apparenze, facendoci sorridere e piangere insieme, trasformando una risata in preghiera e una preghiera in amore concreto verso i piccoli e i semplici. Dal cielo, nella comunione dei santi, continua a spronarci, a ispirarci con la tua arte e il tuo genio, aiutaci a sognare una Napoli libera, viva, che non si piega agli stereotipi comodi, ma li sfida con fierezza e intelligenza.

Ogni figlio di questa nostra terra partenopea sappia imparare dalla tua eredità, impegnandosi per trasformarla - qualsiasi sia il suo ruolo e il talento che il Signore gli ha dato - in una città che abbraccia la sua storia senza esserne prigioniera, che conosce la forza del ricordo ma anche il coraggio del cambiamento, della rinascita!"