Il sogno infranto del Natale è nei suoi "canti" dimenticati

In famiglia si cantava "Tu scendi dalle stelle" e c'era uno spirito diverso...

il sogno infranto del natale e nei suoi canti dimenticati

Un recente sondaggio condotto da Ikono Roma ha evidenziato che un italiano su quattro soffre ormai di uno stato patologico temporaneo detto "christmas blues"

Napoli.  

Non è più tutto oro quello che luccica, e non da ora. A Natale poi più che mai. Lo sanno bene quelli che come me, mio fratello e mia sorella, maggiore di un anno - da molto tempo scomparsa - cantavano la sera della vigilia il canto natalizio di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Tu scendi dalle stelle (noto anche come Canzoncina a Gesù Bambino o semplicemente A Gesù Bambino), quale rito propiziatorio prima del giusto sonno per l'arrivo di quello che già allora era il vero protagonista - con buona pace del cardinale Comastri - di un'attesa per noi bambini spasmodica, Babbo Natale, il Santa Claus dei popoli anglosassoni.

La festa - "ch'anco tardi a venir" - giungeva per noi il mattino successivo, ed era fatta di giochi, emozioni, stupore, magie, speranze e sogni, benché  iniziasse già velatamente a condirsi di un consumismo stonato e inebriante.

Erano i favolosi anni '60, in cui un regalo aveva ancora un peso, come un rimprovero, un premio o una carezza, e i genitori esercitavano il loro diritto/dovere a esserci in ogni ambito, momento o spazio della vita dei propri figli. Non importava a nessuno se Gesù fosse nato davvero il 25 dicembre, se quella data fosse stata presa in prestito da una festa pagana - quella romana del "sol invictus" - oppure se fosse solo stata mutuata da un errore di calcolo tra calendari gregoriani e giuliani oppure ancora da un baccanale contadino - qual era quello dei Saturnali di metà dicembre - o infine se quella data avesse a che fare col solstizio d'inverno e la luce crescente che da quel giorno discendeva.

Sentivamo che, miscredente o meno, quel sole riscaldava i nostri cuori nei giorni solitari come nelle ore buie, a maggior ragione allora che ci ritrovavano tutti insieme - genitori, figli e parenti fino al settimo grado - per godere del cibo e dell'amore che c'era davvero, non a chiacchiere.

Nessuno si isolava, nessuno mancava: erano quelli i giorni che sarebbero rimasti indelebili nella memoria fino all'anno successivo. Non so quando tutto questo sia mutato, non è dato sapere neanche in nome di che, se non di un egocentrismo sempre più iconcludente e di una emarginazione ogni giorno più dilagante.

So però che un recente sondaggio condotto da Ikono Roma ha evidenziato che un italiano su quattro soffre ormai di uno stato patologico temporaneo detto "christmas blues", un malessere psicologico che colpisce alcune persone durante il periodo natalizio e che si manifesta con umore depresso, ansia e disturbi del sonno. Le cause sono le più svariate e vanno dalla non identificazione con una condizione di aprioristica allegria o forzata condivisione sociale, alla nostalgia per una persona cara venuta a mancare, alle "difficoltà economiche" che oggi più di allora pesano sulle nostre vite alla costante ricerca di equiparazioni formali e riscatti sociali, alla solitudine che governa senza più tregua le comunità occidentali, allo stress organizzativo (che colpisce soprattutto le donne), alle tensioni mai affrontate in famiglie crescentemente disunite e ai disagi legati al cibo, signore e padrone oramai incontrastato di questi giorni di festa.

Restano così ai margini le vere ragioni del Natale, il senso di aggregazione e di solidarietà che l'ha reso possibile e il bisogno dell'uomo di ritrovare sé stesso riconoscendo (e amando) il suo prossimo, cosa che sembra essersi oramai completamente smarrita nelle strettoie paradossali di una vita sempre meno reale e sempre più virtuale. Leggendo della morte per assideramento di una bambina palestinese di tre settimane (la terza in pochi giorni) nella tenda di un campo profughi a Gaza proprio nella notte di Natale, mi ritornano in mente le parole che Charles Dickens scrisse più di 180 anni fa in "A Christmas Carol" - forse il romanzo più commovente e famoso sulle ragioni di una festa che deve ritrovare la sua solennità e il suo incanto - a monito imperituro per tutti noi: "La via che gli uomini seguono presagisce una fine sicura se essi vi perseverano, ma, modificando quella via, anche la fine deve cambiare.” I due antichi "canti natalizi" - quello del santo partenopeo che cantai bambino e quello del grande scrittore inglese che mi commosse adulto - stanno ancora là a ricordarci chi siamo e dove è giusto che andiamo.