“Nonostante riconosciuti colpevoli di reati ambientali gravissimi, sono stati più volte scarcerati. Ora oltre il danno potrebbe arrivare la beffa se gli venisse restituito il patrimonio confiscato. Sarebbe una sconfitta dello Stato, una sconfitta della giustizia, un insulto, uno sputo in faccia ai tanti morti nella terra dei fuochi. Questi soldi dovrebbero essere utilizzati per la bonifica dei territori contaminati e/o come risarcimento alle famiglie delle persone ammalatesi o morte. I giudici dovranno fare la cosa giusta, ci appelliamo ad essi". Lo scrivono in una nota il deputato dell'alleanza Verdi-Sinistra Francesco Emilio Borrelli e Alessandro Cannavacciuolo, portavoce degli ambientalisti acerrani, a pochi giorni, il 20 dicembre, dall'atto conclusivo della vicenda dei fratelli Pellini, imprenditori di Acerra, condannati alcuni anni fa, in via definitiva, per disastro ambientale.
Nel 2018 fu confiscato loro un patrimonio da 222 milioni di euro, con sentenza di primo grado a cui gli avvocati difensori dei Pellini fecero ricorso in appello. I tre fratelli Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, imprenditori del settore ambientalefurono condannati per traffico illecito di rifiuti e ritenuti tra i responsabili dell'inquinamento dell'area dell'hinterland napoletano ricadente nella cosiddetta Terra dei Fuochi.
Ora sarà la Corte di Cassazione, cui gli stessi legali di Pellini avevano presentato ricorso subito dopo l'emissione del provvedimento, a dover decidere tanto sull'efficacia della decisione di appello quanto sulla legittimità della confisca. Dalla decisione della Corte emerge che il decreto che ha confermato la confisca di primo grado, e che per i difensori dei Pellini sarebbe inefficace, è stato depositato il 19 giugno 2023; e gli stessi giudici di appello riconoscono che il decreto è stato "depositato dopo la scadenza del termine", che sarebbe iniziato a decorrere il 15 marzo 2019 (data in cui sono stati depositati i motivi di impugnazione); tenendo conto dei 415 giorni di sospensione, i 18 mesi richiesti dalla legge per emettere il provvedimento di secondo grado sarebbero abbondantemente scaduti. Ma comunque, si legge nella decisione, "la Corte ha esercitato e al tempo stesso esaurito la potestà decisionale in merito al provvedimento ablatorio", e proprio il ricorso per Cassazione proposto dagli avvocati esclude la possibilità per i giudici di appello di intervenire. "Nel contesto delineato - si legge nella decisione - non ritiene il collegio di poter valutare le richieste difensive ed emettere distinto provvedimento, considerato che la perdita di efficacia della confisca di primo grado per decorrenza dei termini rappresenta uno dei motivi di ricorso per Cassazione e qualsiasi determinazione della Corte sulla questione andrebbe impropriamente a sovrapporsi al contenuto della decisione adottata con il decreto del 19 giugno 2023 e rischierebbe altresì di configgere con le deliberazioni che sul medesimo 'thema decidendum' dovranno essere adottate dalla Corte di Cassazione".