Ultrà, le quattro giornate di Napoli oppure niente

A dispetto dei tedeschi la miglior prova l'hanno data gli ultrà locali che non sono scesi in piazza

ultra le quattro giornate di napoli oppure niente
Napoli.  

L'Italia - si sa - è un paese di santi, poeti e navigatori. Tutte meritevolissime attività, se non fosse per il fatto che una buona parte dei suoi abitanti è anche inesorabilmente colpita da una affezione (in apparenza) non contagiosa, ma con una qualche misteriosa trasmissione genetica, il tifo per il calcio. Da ciò discendono due immediate conseguenze, la prima è che ogni malato ne capisce più degli altri, che si tifi per la stessa squadra o meno, e la seconda è che ogni aspetto della sua vita personale e sociale finisce con l'esserne permeato.

Ci sono infine gli ultrà, i supermalati, i grandi diffusori di umori torbidi e incontinenti (dicendola alla moda degli infettivologi), quelli che devono gridare le loro doglianze, in pubblico più che in privato, per una patologia - va riconosciuto - così perniciosa. E nel farlo ogni tanto sconfinano nella stupidità e, perfino nella violenza.

Accade che nel naturale svolgersi di un torneo internazionale di calcio, il Napoli, squadra da sempre specchio, anche torbido, dell'eterno amore e delle remote - non so se anche giuste - rivendicazioni di un popolo, si trovi ad affrontare una compagine tedesca proveniente dalla bifronte Berlino, quella dei trionfali nazisti e del vergognoso muro. Città asimmetrica e ferita che porta ancora con sé il peso di un ermafroditismo dolente e cupo. I suoi tifosi, perciò, anche perché memori non già degli oltraggi perpetrati dai loro padri sulle altrui terre, compresa la nostra meravigliosa Partenope, ma degli scontri qui avvenuti una stagione prima con i loro degni compari di Francoforte, erano giunti più agguerriti di un plotone di implacabili incursori in tempi di guerra (di cui, a dirla tutta, di questi tempi, non ne sentivamo proprio il bisogno).

Nasce da qui la lotta armata con le forze dell'ordine italiane dei nuovi barbari a via Medina, al Rettifilo e a piazza Garibaldi. Non erano esattamente le agognate conquiste dell'impero romano di Attila o le infiltrazioni nottetempo di Brenno e dei suoi uomini, non c'erano campidogli da conquistare od oche da zittire, ma altre sacralità quotidiane, già brutalmente violate non tanti anni addietro, erano ancora alla mercé dei nuovi vandali travestiti (in beige) da tifosi.

Dimentichi delle precedenti esperienze (le forze dell'ordine) e pentiti per aver vietato l'arrivo di cotanti gentiluomini nei mesi passati (questori e politicanti), la miglior prova di sé l'hanno data gli ultrà locali che non sono proprio scesi in piazza, consci com'erano che con i tedeschi le scaramucce (come quelle trascorse) erano tediose e se si cominciava a guerreggiare seriamente era per cacciarli per sempre dalla città e dai suoi confini.