La pretestuosa dicotomia pubblico-privato in sanità

Il paziente dovrebbe essere sempre la stella polare di chi esercita una professione sanitaria.

la pretestuosa dicotomia pubblico privato in sanita
Napoli.  

Da un documento del Ministero della Salute: "i principi fondamentali su cui si basa il sistema sanitario nazionale" - nella sua forma abbreviata SSN - "dalla sua istituzione, avvenuta con la legge n.833 del 1978, sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità". Ognuna di queste tre parole esprime valori capitali e profondi, ciascuno a sua volta tutelato dalla nostra stessa Costituzione. Universale è quel sistema, nazionale o sovranazionale, che estende a tutta la sua popolazione, nessuno escluso, le prestazioni di sua stretta competenza - sanitarie in questo caso - e lo fa attraverso "un'organizzazione territoriale capillare", in modo tale da assicurare a tutti i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè le prestazioni e i servizi dovuti per legge.

Per raggiungere questo scopo il SSN utilizza le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le strutture sanitarie private, che sono con esso opportunamente convenzionate (o anche dette accreditate) dopo un luno, talvolta doloroso e dispendioso (per la struttura) vaglio del sistema stesso, peraltro regolarmente replicato nel tempo al fine di controllare se i requisiti strutturali e funzionali sono mantenuti secondo le disposizioni di legge.

L'accesso a queste ultime strutture avviene senza alcun esborso di denaro da parte dell'utente, previa prescrizione del medico di medicina generale e secondo il sacrosanto diritto alla libera scelta del luogo dove curarsi. Il principio di uguaglianza consente, invece, ai cittadini di accedere alle suddette prestazioni e servizi "senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche".

Di fatto assicura a ciascuno di essere trattato allo stesso modo di un altro nel complesso e talora doloroso percorso di tutela della sua salute senza badare alla sua razza o al suo censo. Il terzo e ultimo aspetto fondante del nostro sistema sanitario, che così tanti complimenti ha ricevuto, a dire il vero più da noi stessi che dal mondo esterno, è quello che salvaguarda il principio di equità, in base al quale "a tutti i cittadini deve essere garantita parità di accesso alle prestazioni in rapporto a uguali bisogni di salute". Da quanto fin qui detto è chiaro che è nello spirito stesso della legge la presenza di "comparti gestionali integrati di prestazioni e servizi", pubblici o privati che siano, tutti dotati di pari valore e dignità. Se le cose stanno nei termini qui esposti non si comprende allora come sia possibile che il mondo dell'informazione e, perfino, quello della politica, che quella legge di 45 anni fa pure l'ha fatta e dovrebbe operare per difenderla o al più migliorarla, continuino a ignorare la verità, a questo punto temo scientemente, mistificandola per il proprio piacimento o tornaconto.

Non è possibile, infatti, continuare a diffondere le capziose informazioni che qualcuno abbia voluto ridimensionare, se non additittura sfasciare, la quota pubblica del SSN a vantaggio di quella privata, e che "l'assistenza sanitaria, che pare negata ai più indigenti, è tranquillamente sostenibile per i più abbienti, che possono usufruire di strutture sanitarie private, dove non solo c'è una migliore assistenza logistica, ma, addirittura, in molti casi, anche medica". Ora, premesso che se il privato accreditato funziona meglio del pubblico è un problema organizzativo e programmatorio solo del secondo, va detto una volta e per tutte che il primo costa allo stato molto meno in quanto, indipendentemente da un prezzo secco delle prestazioni almeno del 10% inferiore in molte regioni italiane solo per il comparto dei ricoveri ospedalieri, esso si finanzia con ciò che produce (attività di ricovero, appunto, e ambulatoriali), cosa che non sempre (o quasi mai) accade nella sanità pubblica, costretta nella maggioranza dei casi a richiedere coperture finanziarie a piè di lista allo stato.

E comunque, ripeto, tanto l'accesso alla sanità pubblica quanto a quella privata è regolamentato da (quasi) pari regole di ingaggio e non comporta differenze di esborso economico per gli utenti. Anzi. Risparmiare tempi di attesa e diagnosticare (e curare) prima e meglio una malattia - cosa che accade regolarmente nel privato - assicura un risparmio rilevante di oneri diretti (quelli causati dall'affezione stessa) e indiretti (dovuti, ad esempio, alle assenze lavorative o allo stigma sociale e familiare che a quell'affezione conseguono) con significative ricadute sulla sostenibilità finanziaria del sistema sanitario in toto. Cosa diversa è se l'inefficienza degli apparati pubblici - ma questo vale anche per il privato accreditato - spinge il malato a cercare risposte più esaurienti nel privato puro, cioè con esborso diretto del paziente all'ente erogatore, o in quello assicurativo. In entrambi i casi la sconfitta sarà di tutti - del SSN nella sua interezza in primis - e comunque, anche in questi ambiti, non sono rare inconcludenze e insoddisfazioni dei fruitori delle prestazioni. Il giornalismo popolare e quello scientifico - in ogni parte del globo terrestre e perfino negli evolutissimi Stati Uniti d'America dove il sistema assicurativo la fa da padrone - è pieno di esempi, anche molto toccanti, di questa declinazione irresponsabile di un dovere che è etico molto prima di essere professionale. Il vero problema resta il sistema, qualunque esso sia, il suo concepimento, il suo monitoraggio, le sue correzioni e i suoi aggiornamenti. E soprattutto la sua capacità di rispondere veramente, e non a chiacchiere, ai bisogni di salute dei cittadini, mettendo in pratica, questa volta sì fino in fondo, quei principi di universalità, uguaglianza ed equità, ancora, e forse a maggior ragione oggi, sempre più declamati che applicati.

Per credere vi invito a recarvi in un'ASL cittadina a caso per farvi, ad esempio, (solo) prescrivere un farmaco ad alto costo dispensato dal SSN, portando gelosamente con voi un piano terapeutico da commutare in medicinale (forse) salvifico. Il risultato è trovarsi di fronte a una corte dei miracoli e a un atteggiamento degli operatori sanitari sempre più spogliato di umanità e dignità. Questo è quello che dobbiamo innanzitutto pretendere da chi dovrebbe tutelare la nostra salute, di rendere efficiente e dignitoso ciò che troppo spesso non lo è, senza invece continuare a sostenere inconsistenti e improvvide dicotomie tra pubblico e privato che non fanno bene né a chi eroga le prestazioni né, soprattutto, al paziente, che invece dovrebbe essere sempre la stella polare di chi esercita una qualsivoglia professione sanitaria. Il condizionale è d'obbligo, in un mondo come quello attuale, dove le insufficienze morali prevalgono sempre più su quelle professionali, ahimè però anch'esse spesso largamente rappresentate. A quel punto le differenze di classe o di potere diventano tanto irrisorie e ininfluenti da apparire meri alibi per chi o non ha capito il problema o (peggio) non lo vuol capire. Altra questione sarebbe poi risolverlo. Perchè alla fine torniamo tutti - poveri o ricchi, ingenui o furbi, comuni o privilegiati - mestamente in coda, in cerca di una risposta rapida ed esaustiva ai nostri malesseri ovvero di un sorriso accogliente e taumaturgico da chi dovrebbe curarci invece di continuare a farci annaspare nell'inconsistenza e nella solitudine. Mentre quello che è sotto i nostri occhi ogni giorno non sembra proporci una soluzione unitaria, a oggi spendibile e duratura, a questo pur inalienabile bisogno. Altro che pubblico e privato!