Appunti di viaggio: Boston, "Ovunque tu vada, vacci con il tuo cuore"

Reportage dagli Usa: per un medico è come recarsi nella culla del sapere scientifico

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Napoli.  

di Gerado Casucci

Siamo partiti da Roma da un'area destinata solo ai voli per gli Stati Uniti d'America. Ogni volta che succede mi sembra di essere in una zona franca tra privilegio e discriminazione. Non è stato diverso in questo caso. Non mi piacciono i voli lunghi, proprio non li sopporto, e se questo mi connota come un turista più che come un viaggiatore mi rassegnerò a tale ignominia. E in ogni caso, se è vero quello che affermava il saggista americano Pico Iyer che "i viaggiatori sono quelli che lasciano le loro convinzioni a casa, i turisti no”, potrei addirittura cavarmela. Andavo a Boston, per la prima volta nella mia vita, la città della cultura, della conoscenza e della libertà. Per un medico poi è come recarsi nella culla del sapere scientifico contemporaneo per la ridondanza mondiale che porta inevitabilmente con sé una Università come Harvard, con i suoi studi all'avanguardia, non ultimo quello sulla felicità che sto ancora leggendo (e raccontando). Ma non c'è solo l'accademia lì. Appartengono, infatti, a questo relativamente piccolo agglomerato urbano con i suoi 800.000 abitanti, escludendo i popolosissimi e più economici sobborghi, anche prestigiosi presidi ospedalieri come il Massachusetts General Hospital e il Boston Medical Center. Chi vuole fare il medico a certi livelli, soprattutto se è giovane e padroneggia la lingua, dovrebbe passare prima o poi di là. Quanto a me, che parlerei con più gioia il latino e il greco o, se proprio devo usare una lingua diversa dalla mia che tanto amo, al più lo spagnolo, nonostante la mia professione (ammetto la mia colpa), parafrasando Edoardo Bennato, non ho mai "voluto l'America". Oggi poi (per fortuna) mi aiuta l'età, posso con disinvoltura mandare al diavolo metà della popolazione da me conoscibile e selezionare accuratamente tempi e modi dei miei rapporti con una piccola percentuale dell'altra metà. Negli USA ci sono stato tante volte, ma qualcosa di inesplicabile di quel paese me lo ha reso sempre e comunque estraneo. Eppure - direte - è proprio là che sei andato per queste vacanze estive. Ho le mie ragioni al riguardo e presto le conoscetete. Mi ci sono recato, come già in un'altra occasione una decina di anni fa, ma in quel caso in compagnia di carissimi amici, sempre con la mia famiglia al completo, padre, madre e tre figli, tutti ormai grandicelli, ma non tanto da essere ancora del tutto inesorabilmente rapiti da altre chimere (affettive o meno) o da altre inclinazioni. Anzi. Avevano voluto che ci andassimo proprio loro per festeggiare il compleanno materno. E avevano ragione. Mai come questa volta il viaggio ha avuto uno scopo. Henry Miller ha scritto “La propria destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose”. Ed è stato così. Proprio la nostra prima tappa di qualche giorno nel capoluogo bostoniano della Contea di Suffolk mi ha fatto capire cosa volesse dire lo scrittore newyorchese. Sarà stato il fatto che non ero più io a guidare il gruppo, ma piuttosto a esserne guidato, anzi a essere parte di esso con la libertà, la rilevanza, il distacco e la complicità di chi è paritario agli altri suoi componenti, però mai come in questo caso mi sono sentito "in ascolto" di ciò che mi circondava, compresi i miei compagni di viaggio. Ho assaporato, con loro, e indipendentemente da loro, le strade, i mercati, le lunghe passeggiate, i quartieri residenziali, l'immancabile Little Italy  - è sempre un luogo a parte in qualunque latitudine del mondo - con i suoi odori pieni e immutabili, il parco pubblico, lindo e assorto - non solo un luogo ma un libro di memorie. La biblioteca pubblica poi, la prima dell'intera nazione, con le sue lampade verdi e sognanti, e il Museum of Fine Arts, uno scrigno preziosissimo di ricordi universali inestimabili (e perfettamente organizzati e manutenuti). Viaggiando poi verso le epopeiche storie estive dei Kennedy, abbiamo raggiunto le alabastre sponde di Hyannes diretti a Nuntacken, l'isola delle balene (ormai smarrite), delle biciclette e dei ricchi. Ma dei giorni itineranti appena trascorsi più di tutto mi restano Cristina, Luis, Wesley ed Eliana, emblemi di un popolo più in ombra che alla luce, eppure non meno protagonisti di quel miracolo di civiltà che, non so se a fatica o meno, non so se in parte o del tutto, li ha inclusi. È proprio come scriveva Italo Calvino, "di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”. E io la mia risposta, per quanto sussurrata e segreta, l'ho avuta. Mentre volavo via verso mete più esotiche mi chiedevo cosa avesse aggiunto ai miei occhi e al mio cuore Boston. Vi lascio, prima di smarrirle nei labirinti della memoria, le tre immagini che più di tutte ho portato via con me: la statua senza piedistallo del "mio" amatissimo Edgar Alan Poe, con tracce della sua poetica impresse sulla strada che ci portava da lui; il luogo dell'eccidio di Boston, un simbolo e un inno per tutti alla libertà e all'uguaglianza; un arco casuale di rose per due ragazzi che si baciavano sull'erba di un parco, incuranti del mondo che li circondava. Aveva ragione Confucio, "ovunque tu vada, vacci con il tuo cuore".