Il "dono" (non sempre immateriale) di un vero amico

Possiamo fare a meno di molti affetti, non di quelli degli amici. Ma dobbiamo meritarcelo.

il dono non sempre immateriale di un vero amico

Se Silvio Berlusconi - per citare un esempio in queste ore sulla bocca di tutti - ha lasciato alla sua morte parti più o meno rilevanti del suo patrimonio agli amici qualcosa vorrà dire.

Napoli.  

"Chi trova un amico trova un tesoro", non so quante volte abbiamo ripetuto questo proverbio ultramillenario convinti di dar fede a una verità incontrovertibile e al contempo dando conto di un significato unico e immutabile. Il motto ha origini - come dicevo - antichissime, più di 2000 anni fa. In queste poche parole viene sintetizzato, infatti, un nobile concetto - ma non è stato sempre letto così - espresso nel Libro del Siracide, testo sacro facente originariamente parte della Bibbia sia ebraica che cattolica e poi rimasto solo in quest'ultima, scritto nella lingua di Gesù da Yehoshua ben Sira - tradotto "Giosuè figlio di Sira", da qui il nome del libro "Siracide" - e in un secondo momento pubblicato prima in greco e poi in latino. È l'unica opera dell'antico Testamento di cui si conosca l'autore.

Il libro pare sia stato concepito sulla scia di quello del Proverbi attribuito a Re Salomone - ma non può essere escluso che sia stato scritto da un suo contemporaneo - che "descrive la vanità della vita, considerata dal punto di vista umano quasi come se, oltre ad essa, non esistesse altro".

In realtà, il motto tanto caro a  Bud Spencer e Terence Hill, che con questo titolo ci fecero addirittura un film, era tratto da un passaggio altamente nobile e spirituale dell'Ecclesiastico - altro nome con cui si intendeva il Libro di Seracide - che letteralmente recitava: "Un amico fedele è un prezioso sostegno, e chi lo trova ha trovato un tesoro. Un amico fedele non ha prezzo e incalcolabile è il suo valore".

Non c'è niente di più vero e niente di più consistente di quanto lì affermato. Questi autentici e sinceri rapporti di fiducia piena e incondizionata, peraltro svincolati da qualsivoglia interesse o opportunismo, sono però con l'avanzare della senilità sempre più rari. I vecchi amici - per quelli che hanno avuto la fortuna di averne e di goderne - si perdono o vanno via in quel modo ineluttabile che pesa ogni giorno di più. I nuovi sono un'eccezione, forse perché col passare del tempo i nostri cuori non sono più inclini alla passione cieca e assoluta della giovinezza e alla dedizione che da essa deriva, così occupati "a far qualcosa di importante, di unico e di grande" (cit. Lucio Dalla), oppure perché "contaminati" dal "mondo reale", che poi di reale non ha proprio un bel niente, così privo di un'anima che gli conferisca una benché minima ragion d'essere.

Vecchi o nuovi che siano gli amici sono spesso introvabili, devono infatti superare prove che oltrepassano per difficoltà quelle delle "sette fatiche di Ercole", in cui la forza non costituisce una dote né un criterio per la buona riuscita dell'impresa. Anzi. L'amico migliore è nella fragilità che emerge, si rafforza e si perpetua. È in quello spazio intimo e sussurrato che prende e dà fiato, sopravvive e concede la vita. Così, normalmente, come se scrollasse un granello di polvere da un abito.

Essere accanto a qualcuno che ci è affine senza il vincolo spesso deperibile dell'amore, costituisce, per chi se ne beneficia, la più elevata forma di libertà, più di quella economica, più di quella sociale, più di quella religiosa. Possiamo fare a meno di molti affetti, non di quelli degli amici.

Che sia per una bravata, che avvenga intorno a un tavolo a bere e gozzovigliare o seduti in faccia al sole, che accada in una impresa condivisa o per una meta da raggiungere, solo un amico è fino in fondo dalla nostra parte e ci resta anche quando la nostra porta di casa si è chiusa. Perciò bisogna essere bravi a meritarselo un amico. Non è la famiglia, men che meno il focolare domestico, non ci torni quando non ne hai voglia. Non c'è abitudine nell'amicizia.

Un amico lo scegli e rimane tale ancora di più quando posi le armi del giorno e guardi nel vuoto una parete che al buio non vedi. Un amico non ti salva dalla solitudine, te la colma con la sua assenza, fino a darti una nuova, splendida possibilità per l'indomani. Per questo è un tesoro, prezioso come quello accumulato e custodito dai 40 ladroni, come quelli, nascosti da qualche parte e che forse nessuno troverà, che tanto magicamente descrisse Stevenson, perciò così caro a Borges. E come un tesoro l'amico fa risplendere quello che già possediamo, gli dà una forma, un volume e un valore. Come ogni tipo di ricchezza, però, non sempre gli amici danno la felicità, a volte, quando sono fasulli e cattivi, possono portare a un appagamento vuoto ed effimero, se non addirittura alla maledizione, come col carico inestimabile portato alla luce dal Conte di Montecristo di Dumas.

Ma non è di questi ultimi di cui parla la locuzione latina - "qui autem invenit illum invenit thesaurum" -  che ha dato vita al proverbio che spesso tanto pappagallescamente (e ingannevolmente) ripetiamo e che oggi qui enfatizzo. L'amicizia è una cosa seria, richiede modestia, fedeltà incrollabile e onore. Se Silvio Berlusconi - per citare un esempio in queste ore sulla bocca di tutti - ha lasciato alla sua morte parti più o meno rilevanti del suo patrimonio agli amici qualcosa vorrà dire. Perchè se una persona decide di donare ad altre a lui vicine un pezzo, solo accidentalmente materiale, del suo sogno e della sua visione del mondo, non è per misinterpretare il motto latino, capovolgendone il significato (come qualcuno provò a fare già nell'antichità), ma per ribadire a chi lo dimentica che l'amicizia è un magico cerchio condiviso, buono per due come per cento, dove un dono, in qualsivoglia guisa, ha sempre e comunque la tenacia e la preziosità di un fiore tra le pagine.

*Neurologo - responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento