Medicina: diabesità, un "nuovo" termine per vecchi (e crescenti) rischi

Diabete e obesità legate da un vincolo fisiopatologico, clinico e, più di recente, anche terapeutico

medicina diabesita un nuovo termine per vecchi e crescenti rischi
Napoli.  

Il termine diabesità costituisce un neologismo sincratico per la prima volta pubblicamente espresso nel 2001 dal professor Paul Zimmet, eminente diabetologo australiano, e successivamente ripreso e fatto adottare nella pratica medica anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2008.

La parola-macedonia - così viene volgarmente definito un vocabolo che ne unisce due - coniuga due patologie in larghissima ed esponenziale diffusione in tutto il pianeta, il diabete e l'obesità, l'una correlata all'altro da un profondo vincolo fisiopatologico, clinico e, più di recente, anche terapeutico. Sul piano strettamente epidemiologico basti pensare che più dei due terzi dei diabetici è sovrappeso o è obeso, mentre almeno un soggetto su 3 con eccesso ponderale è diabetico.

Ma i numeri potrebbero essere molto più elevati a causa del fatto che solo una parte dei diabetici sa di esserlo. Nella mia pratica clinica non potete immaginare quanti soggetti con iperglicemie borderline, emoglobine glicate (espressione dell'equilibrio glicemico del soggetto nei due mesi precedenti alla valutazione) con valori spesso solo prepatologici (maggiori del 5.7%) o anche portatori di altre patologie metaboliche - ipertensione arteriosa essenziale, bassi valori di colesterolo buono o HDL o alti valori di trigliceridi - risultino poi essere diabetici a un'analisi più diretta e approfondita.

Dall'accumulo di un po' di grasso viscerale (la classica pancetta) fino ad arrivare alle complicanze circolatorie, neurologiche o renali della malattia diabetica, tutto l'agglomerato sindemico delle due nuove, vere, grandi epidemie mondiali non trasmissibili (cioè senza agente infettivo causante) si realizza il più delle volte nel silenzio (clinico) più assordante e quando si manifesta è spesso già troppo tardi, visti i danni talora irreversbili arrecati a ogni organo, apparato o sistema del nostro corpo da chi sa bene come forzare subdolamente una forma o alterare una funzione organica.

Diabete e obesità crescono ormai insieme, potremmo dire a braccetto, da troppo tempo e da altrettanto tempo mietono una quantità crescente di vittime - dirette o indirette - senza che né gli appelli della scienza né i proclami dei governi siano mai riusciti a mettervi il benché minimo argine.

Le due patologie unite da una terrificante congiunzione, come gemelli siamesi, costruiscono così giorno dopo giorno la loro strisciante metamorfosi (degna dell'uomo-scarafaggio Gregor Samsa di Franz Kafka) nel corpo come nell'anima di uomini tanto ignari quanto inavveduti. Cresce pericolosamente perfino l'incidenza del diabete tipo 2 (quello legato all'obesità) prima dei 18 anni - di fatto triplicato nell'ultimo ventennio - quando eventi del genere erano considerati poco più che eccezionali solo qualche lustro fa.

I motivi sono sotto gli occhi di tutti. La vita sempre più sedentaria, avvinta com'è al digitale e alle sue ipnotiche declinazioni, lo stress e (soprattutto) le cattive abitudini alimentari che vanno di pari passo con il consumo, spesso anche inconsapevole, di cibi ogni giorno più processati, costituiscono le pietre miliari di un cambiamento globale dello stato di salute che coinvolge tanto i paesi più industrializzati quanto quelli sottosviluppati o in via di sviluppo. Cosa opporre a questa marea montante di infermi o "fragili", come peraltro la pandemia da Sars-Cov-2 ha ampiamente dimostrato?

Cambiare innanzitutto le regole stesse del vivere quotidiano: dormire meglio ed evitare i sonnellini pomeridiani; abituarci a mangiare sano sin dalla tenera età, consumando preferibilmente cibi non raffinati, edulcorati o elaborati e comunque con indici glicemici non superiori a 50; mantenere un'attività fisica giornaliera regolare (evitando eccessi altrettanto dannosi), stimolando gli adulti a camminare almeno per 8000- 10000 passi al giorno - svolgendo una parte non minore di questa salutare attività alla velocità di 4,5 e 6,5 km all'ora per 150 minuti a settimana o più - e i bambini a evitare deleterie indolenze (telefoni, televisione e videogiochi) per la maggior parte della loro giornata.

Ma anche tutte queste buone regole da seguire non basteranno se non saranno accompagnate da un credo di virtuosità generale rispetto a ogni punto di vista delle nostre vite personali, come lo possono essere le relazioni sociali e affettive e la crescita economca e culturale di una comunità. È nell'ignoranza, infatti, e nella povertà che si annidano i più grandi mali arrecati dalla diabesità alla popolazione generale, col suo carico tuttora indecifrabile e ancora incalcolabile di disagi, diseconomie e morti (basti pensare che un anno di questa sindemia fa più vittime di più di 3 anni di Covid-19).

Se si vuole guardare seriamente alla salute pubblica futura lo si faccia anche mettendo in agenda interventi istituzionali e sociali profondi che modifichino le mentalità prima dei comportamenti e assicurino a tutti i livelli assistenziali monitoraggi scientificamente validati di questa "nuova" e sempre più diffondente malattia. Ce la si può fare, purché si cominci subito e si porti a termine quello che solo teoricamente tutti si erano proposti di risolvere (senza riuscirci) già in epoche precedenti.

Non c'è tempo da perdere, le nuove pandemie o epidemie trasmissibili, le incalzanti malattie cardiovascolari e la sempre maggiore precocità (e malignità) di alcuni tumori hanno già oltrepassato l'uscio di casa e, grazie alla viscida compiacenza della diabesità, stanno già togliendo al nostro quotidiano aspettativa di vita, operosità e gioia di vivere.

*Neurologo - responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento