È così indecifrabile l'eredità morale che lasciamo?

Siamo certi che la perdita della spiritualità che sa arricchire un uomo sia solo colpa dei giovani?

e cosi indecifrabile l eredita morale che lasciamo
Napoli.  

È una domanda che spesso mi faccio, a maggior ragione ora che procediamo inesorabilmente verso un mondo sempre più legato ai beni materiali ed effimeri. I giovani - già alla mia generazione era in parte accaduto - crescono senza grande fatica né particolari sacrifici, avendo molto di quanto è possibile - a qualunque ceto sociale appartengano - o aspirando ad averlo e facendo di tutto (anche l'illecito o l'immorale) per ottenerlo.

Ma siamo certi che la perdita di quella spiritualità che ancora sa arricchire un uomo sia solo colpa delle nuove generazioni? O non è piuttosto che la sete di rivincita - più materiale che etica o culturale, quando non era mera rivalsa sociale di un'ampia fascia di popolazione troppo a lungo vittima delle oligarchie economiche e degli autoritarismi politici - abbia fatto dimenticare ai padri e ai figli la ragione stessa della loro immanenza terrena, il solco non biologico né tangibile che tutti scaviamo affinché domani fioriscano i nuovi frutti?

Eric Hobsbawn, lo storico e scrittore britannico teorizzatore del "secolo breve" - quello che va dal 1914 al 1991 - ha scritto: "La distruzione del passato, o meglio, la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono".

Questa evaporazione del tempo che fu e, al contempo, questa agnosia di quello che verrà, spinge molti a credere - chissà poi perchè - che vi sarà domani una possibiità ulteriore per parlarsi e costruire opzioni condivise, imboccare una strada ancora percorribile nelle relazioni sociali per lo più ormai dismesse o dimenticate.

In una parabola raccontata dell'apostolo Luca nel suo Vangelo (Lc 12,13-21), Dio diceva a un uomo che accumulava beni per lasciarli ai propri figli "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?". In altri termini, c'è qualcosa che non siano coppie ribonucleiche e caratteri somatici, partecipazioni azionarie e fruscianti banconote, mura e cancellate, terre e raccolti, che resterà di noi a chi ci seguirà, prossimo o lontano che sia? E soprattutto, quanto di questa quota immateriale che lasciamo, quanto di questa suggestione (sperando sia benefica) sarà tracciabile nelle scelte e nei comportamenti di chi ci ha conosciuto e ci ha tenuto accanto per anni, non necessariamente con piena condivisione?

La vita è un susseguirsi di simboli, impressioni, giri a vuoto (come spazi tra le righe), ma anche di fatti, mani, parole, odori, abbracci. Non dimentico il valore esemplare di mio padre o quello amicale di mio nonno, il rigore che regnava (anche suo malgrado) nel rifugio di mia madre, il sogno dissolto come neve al sole di mia sorella. Ho il rimpianto di non aver saputo avere di più da loro, di non essere andato oltre l'ordinario per rendere il loro messaggio più chiaro e duraturo nella mia vita. Ma è il destino degli uomini, omettere sentimenti per coltivare relazioni che non necessariamente li prevedono.

Siamo certi, richiamando ancora Hobsbawn, che la nostra vita si limiti al presente, ne siamo impregnati, contaminati, travolti. Amici, viaggi, amori, affari ci spingono altrove, alla ricerca di una realizzazione (o anche solo una identificazione) sociale che non necessariamente ci connota. Di certo non affettivamente. Eppure accade, come ci ricorda Luca nel suo Vangelo, che di fronte poi alla morte di coloro a cui dobbiamo le innumerevoli declinazioni della nostra "eredità", ci chiediamo non "chi siamo" ma "di chi siamo", da chi discende quell'intricato groviglio di bisogni, tenerezze, fragilità e sogni che custodiamo in fondo al cuore. E scopriamo, non senza rammarico, che ci viene per la gran parte da chi abbiamo dato per scontato, solo perché c'era, sempre. E ora che più che mai dovrebbe esserci per riparare alle parole e ai gesti mancati, per darci una guida, "morale" appunto, un filo conduttore, niente e nessuno potrà restituircelo.

Lo scrittore e poeta statunitense Stephen Vincent Benét ha scritto: "La vita non si perde morendo. La vita si perde minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, in tutte le migliaia di piccole insignificanti negligenze." Così, alla fine, la risposta alla domanda iniziale è "sì, ma solo in parte". L'eredità morale che lasciamo è indecifrabile, perchè indimostrabile, non demarcabile e in ogni caso incompleta. Il suo codice di lettura, che sta dentro ciascuno di noi, infatti, qualora anche venga trasmesso (o recepito) è svelato solo in parte. Un pezzo più o meno grande di quel misterioso cifrario resta comunque escluso dagli invisibili atti di successione che stipuliamo con gli avventori della nostra vita. Ora per volontaria omissione, ora per colpevole distrazione (di entrambe le parti). Eppure quel molto o quel poco che passa poi pesa, nei costumi e nelle abitudini, come una traccia, (di nuovo) un solco, un carattere (non somatico) che in qualche modo ci connota per sempre.