Quel percorso di civiltà che passa (anche) da Napoli

Riflessione su come la città di Napoli ha festeggiato il terzo scudetto della squadra di calcio

quel percorso di civilta che passa anche da napoli
Napoli.  

Qualche giorno fa Fabio Cannavaro, ex difensore del vivaio e poi della prima squadra di un Napoli post- maradoniano e già irreversibilmente in declino, a proposito dello scudetto appena conquistato dalla squadra partenopea e dei festeggiamenti a esso seguiti, ha dichiarato: "Vedere una città festeggiare con tanto ordine e con tanta civiltà fa sicuramente piacere".

Ecco, la civiltà, "quell'insieme di qualità e caratteristiche materiali, culturali e spirituali di una comunità, che spesso viene contrapposto al concetto di barbarie", il quale sembra essere considerato per partito preso - e in parte a ragione - estraneo alla vita sociale della nostra città, che, pur tra dominazioni varie e contrapposte, contaminazioni più o meno profonde, buone o cattive sorti, periodi di luce e di buio - piaccia o meno - resta ancora una delle ultime culle indecifrabili e incontaminate di quella "humanitas" del Circolo degli Scipioni applicata alla vita quotidiana dell'uomo moderno di qualunque latitudine e di qualsivoglia razza. Ora, tornando a Cannavaro, non parliamo di uno di quelli un po' filosofo e un po' comico, neanche di uno di quei grandi attori poi emigrati, né di un giornalista buono a rabbonire col mantello del populismo o di uno scrittore buono a vendere un pezzo della nostra storia in cambio di una verità parziale. Insomma, è un calciatore, nulla più, e quanto alle sue affermazioni sulla festa scudetto, va aggiunto, a onor del vero, che l'ex pallone d'oro non ha vissuto sempre e solo a Napoli e di città "civili" ne ha pure conosciute - basti pensare a luoghi di lavoro come Parma, Milano o Torino - e il fatto che egli attribuisca a un momento di felice passione e fragorosa esultanza del popolo azzurro, per di più largamente atteso, una connotazione di buona creanza o urbanità (com'è propria della etimologia di civilitas) costituisce di certo spunto per qualche piccola - eviterei trionfalismi o ridondanze - e, spero, utile riflessione.

Non è da oggi che Napoli ha cominciato a giocare un ruolo non più marginale nella vita culturale di questo paese. Ne sono esempi le crescenti produzioni cinematografiche e televisive costruite intorno al suo modo di essere e di vivere. E, ovviamente, non faccio riferimento alle varie rappresentazioni di realtà delinquenziali, da qualunque prospettiva spazio-temporale vengano messe a fuoco, raccontate ora col tono brutale e quasi compiaciuto di gomorra e simili, ora con quello più intimista e psicologico di un carcere minorile. No, parlo di Paolo Sorrentino - è più di un work in progress la sua prossima fatica che dovrebbe riportarlo qua per narrare addirittura il mito di Partenope, la sirena che ha dato origine alla città del sole - e di Mario Martone col suo splendido omaggio a Massimo Troisi, ma anche di Marco D'amore e della sua "Napoli magica". E parlo della serie "Uonderbois" su Disney Plus o di "Equalizer 3" con Denzel Washington. Tutti sembrano volersi riimmergere in quell'ordito controverso, magico, caotico e stordente dei vicoli e delle sue fughe per cercare un altro panorama, un altro specchio della propria umanità. Perfino le grandi star della musica internazionale hanno approfittato di questo clima di festa (non solo calcistica) per prendersi una pausa, gioire autenticamente, farsi affascinare da quel "bello" che forse non sappiamo neanche di avere.

Parlo di personaggi del calibro di Sting, ripreso a torso nudo sul balcone di un albergo del lungomare a suonare in acustica Shape of my heart, o di Bono, visto muto e incantato davanti al Cristo Velato. Per non dire del "Napoli is on fire" di Bob Sinclar, il disk jockey di fama mondiale, in risposta a un tifoso milanista incrociato sulla strada per Ibiza.

Si ha la percezione che il mondo, dopo la magica vittoria dello scudetto, ci guardi con rinnovata attenzione e benevolenza. Le reazioni della gente alla vittoria matematica del campionato sono state vibranti e folcloristiche, ironiche e intense, come si conviene a questa gente, ma non "pulcinellesche", nonostante qualcuno proprio della nostra terra abbia usato impropriamente questo termine, mai smodate o grottesche. Nella domenica di sole che è seguita a quello storico traguardo ho passeggiato per ore per le strade della mia città e ho trovato solo allegria, musica, stendardi, bandiere, frasi, sciarpe e colori, azzurri, solo azzurri, per tutti, napoletani e non. Perché questa è la grande civiltà di Napoli, rispetta tutti, nella buona come nella cattiva sorte, anche se è bravissima a farsi del male. Ma anche questo, a ben vedere, è una forma di civiltà. Se si amasse per quanto è capace di essere amata non ce ne sarebbe per nessuno.

Ma noi, è noto a tutti, rifuggiamo le differenze tra gli uomini, non ci piace fare i superiori (visto che aborriamo che lo facciano con noi), siamo così democratici dentro che non possiamo fare a meno di esserlo anche fuori. Non primeggiamo nella vita sociale perché lo facciamo già nel cuore. E se decidessimo di coniugarlo ai comportamenti saremmo insuperabili. Com'è accaduto nella splendida festa scudetto domenica scorsa al Maradona e com'è successo in ogni piazza e in ogni strada, prima, durante e dopo quell'evento. Un altro modo (ancora) per essere degni di questa nostra nobile, bestiale, amata, palpitante, popolosa, accogliente e indefinibile "civitas".