La lezione inascoltata del piccolo Alan Kurdi

Il dramma dei bambini migranti morti e l'incapacità di chi doveva salvarli

la lezione inascoltata del piccolo alan kurdi
Napoli.  

Gerardo Casucci*

C'è una fotografia rimasta negli occhi e nei cuori di miliardi di persone su questo pianeta sempre più colpevole e volgare, che mi viene in mente ogni qual volta che per un motivo o per un altro - quasi sempre più terrificante che serio - in Italia si affronta il delicato e complesso tema dei migranti.

L'immagine in questione è quella di un bambino siriano di appena tre anni di etnia curda, pare per mera semplificazione anagrafica identificato dalla polizia locale col nome di Alan Kurdi (dal nome, appunto, della comunità di origine), ritrovato morto alle prime luci dell'alba del 3 settembre 2015 su una spiaggia di Bodrum, l'antica Alicarnasso, città natale dello storico greco Erodoto (il "padre della storia" per Cicerone) e in quei giorni più che mai ambita località turistica del Mediterraneo. Lo sfortunato bambino fuggiva con tutta la famiglia dalla città di Kobanê, assediata a più riprese dall'ISIS e in procinto di cadere.

La foto di un professionista turco ritraeva il piccolo riverso sulla battigia, con la guancia destra a gelare e (in parte) il naso e la bocca a respirare l'onda mortale. Era bruno e bello. Aveva braccia penzoloni e atoniche, come in un estremo atto di resa. I palmi delle piccole mani erano però rivolti verso il cielo. Indossava una maglietta rossa, pantaloncini corti blu e scarpette da ginnastica (forse di pezza) anche blu. Il poliziotto che lo aveva raccolto avrebbe poi dichiarato di "aver sperato che fosse ancora vivo" e di essere rimasto "distrutto nel profondo" dalla constatazione del contrario.

La storia avrebbe poi raccontato dell'ennesimo eccidio di innocenti (paganti), dell'ultima tra milioni di crudeltà dell'uomo che intasca soldi stipando su un gommone - più un canotto con motore - di cinque metri ben 20 persone e dando loro giubbotti di salvataggio finti. Non importa chi è sopravvissuto e chi è deceduto in quel viaggio senza speranza. Non contano le parole pur commoventi del padre né l'indignazione (a tempo determinato) del mondo intero.

Resta inamovibile e opprimente il fermo immagine di un bambino vispo e felice che nessuno ha voluto o saputo proteggere da una piaga infinita. In queste ore che si battaglia senza quartiere (né vergogna) in parlamento, in televisione, sui giornali e sui social per l'ultima conta dei morti restituiti dal mare a una spiaggia calabrese e si ammassano come in una shoah i peluche e i giocattoli di tutti quelle piccole e incolpevoli vittime della follia (o forse sarebbe più corretto parlare di ferocia) di chi avrebbe avuto invece il compito naturale di proteggerle, vorrei ricordare a coloro che rivolgono accuse ad altri assolvendo impropriamente sé stessi che se proprio vogliono dimenticare i propri figli come minimo rammentino di essere stati bambini e di aver avuto piena fiducia - almeno una volta nella vita - in un adulto un po' meno cinico e stupido di loro.

*Neurologo - responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento