Le crisi industriali e la politica distratta

Si avvia un autunno caldissimo ma i partiti discutono del nulla, tra scissioni e trame

Napoli.  

Mentre nel caldo agosto italiano la politica si dibatteva sulla crisi di governo e mentre i partiti e i loro esponenti passavano le nottate a fare trame, incontri segreti, trattative, dirette Facebook, feste sui lidi e aperitivi sulle spiagge, la realtà del mondo continuava scorrere senza che le istituzioni fossero capaci e coscienti di come affrontare i problemi. 

intanto però, le crisi industriali languivano lo stesso sulle scrivanie del Mise e oggi ci si risveglia con la Whirlpool Emea che annuncia unilateralmente la cessione del ramo di azienda e quindi la vendita dello stabilimento di Napoli alla Passive Refrigeration Solutions S.A. (PRS). 
Gli operai che avevano con dignità, pazienza e speranza lottato nei mesi scorsi per mantenere la produzione delle lavatrici nella fabbrica di via Argine, oggi sono rimasti in presidio davanti al Mise a gridare la loro rabbia. 

Quella di oggi è una sconfitta che arriva improvvisa anche se annunciata e attesa. Eppure nei mesi scorsi i dipendenti, con le loro maglie bianche con su scritto “Whirlpool Napoli non molla” e una spunta verde in contrasto alla X rossa con la quale l’azienda aveva cancellato lo stabilimento partenopeo, avevano raccolto la solidarietà e la disponibilità di tutti. 

Ma la politica, le istituzioni in questi mesi erano distratte. C’era da fare il nuovo governo. C’era da cambiare i drappi e i vessilli per passare da gialloverdi a giallorossi. C’era da fare la lista dei ministri, quella dei sottosegretari, decidere chi nominare proprio come in un reality. C’era da lanciare il piano delle alleanze per le regionali. C’era da fare l’ennesima scissione e l’ennesimo partito personale. 
Per la questione Whirlpool Napoli, per quella enorme crisi industriale invece non c’era tempo e oggi per quei lavoratori forse non c’è più niente da fare se non provare a lottare con la stessa dignità e la stessa forza di questi mesi. I piani di trasformazione e di cessione si sono rivelati nei casi precedenti dei fallimenti totali e gli operai che oggi sono già a zero ore e percepiscono lo il 60% dello stipendio, iniziano a temere davvero il peggio, soprattutto in un territorio che non offre altre reali alternative lavorative. 

La vicenda della Whirlpool dimostra la debolezza delle istituzioni nel sistema capitalistico di oggi che consente ai capitali di emigrare, di spostarsi senza dover superare alcun oceano, senza dover pagare alcuno scafista, senza l’aiuto di nessuna ong e senza dover chiedere nessun asilo. 

Ma oltre alla debolezza del nostro Paese e alla fragilità delle nostre istituzioni repubblicane nel sistema gnomico globale, questa vicenda mette in luce, con drammatica chiarezza, come ci sia una distanza siderale tra la politica italiana e la realtà quotidiana dei cittadini italiani. Mentre uno stabilimento che a Napoli rappresenta un avamposto di civiltà, di dignità e di lotta concreta alla criminalità, rischia la chiusura, i partiti sono concentrati a fare altro. Dal Pd che è concentrato a fare la conta tra chi resta e chi va via, alla sinistra quella della “ditta” che è invece impegnata a crogiolarsi nel nuovo spazio di potere che ha assunto al governo, passando per la Lega intenta a parlare di immigrazione anche in territori devastati dall’emigrazione o lanciare anatemi e campagne sull’ormai famosissimo Bibbiano, per arrivare alle forze arancioni alla de Magistris che invece provano, nell’ottica tutta strategica di indebolire una parte politica, ad addossare le responsabilità ad un solo uomo. 

Piaccia o meno il Paese si dovrà confrontare con un lungo autunno caldo, che sarà falcidiato da chiusure, crisi e desertificazioni industriali. Davanti ai cambiamenti sistemici ai quali stiamo assistendo la nostra politica si è ridotta a discutere del nulla e si è così distratta da non accorgersi che l’Italia sta chiudendo.