La Fondazione Nobel ha deciso di rivedere la sua posizione e ha annunciato la revoca degli inviti all'ambasciatore russo, all'ambasciatore iraniano e all'ambasciatore bielorusso per la cerimonia di premiazione dei Nobel. Questa decisione è stata presa in seguito alle intense reazioni suscitate in Svezia, come riportato dalla televisione pubblica svedese, Svt.
In un comunicato ufficiale, la Fondazione Nobel ha spiegato che le "forti reazioni in Svezia" hanno motivato questo cambio di direzione. Il consiglio della Fondazione Nobel ha scelto di fare un'eccezione rispetto alla prassi dell'anno precedente e di non invitare Russia, Bielorussia e Iran alla cerimonia che si terrà a Stoccolma. Tuttavia, tutti gli ambasciatori saranno invitati alla cerimonia del Nobel per la pace a Oslo.
Inizialmente, la Fondazione Nobel aveva deciso di "modificare" la sua politica di inviti, includendo gli ambasciatori dei paesi coinvolti in recenti conflitti e gravi violazioni dei diritti umani, nonostante il rifiuto dello scorso anno. Questa scelta aveva suscitato critiche intense e diffuse, comprese quelle del primo ministro svedese Ulf Kristersson e di numerosi parlamentari svedesi, che minacciavano di boicottare la cerimonia di questo prestigioso premio internazionale.
Ulf Kristersson ha dichiarato: "Per quanto mi riguarda, non inviterei la Russia se fossi l'organizzatore della cerimonia", lasciando intendere che avrebbe potuto decidere di non partecipare alla cerimonia di premiazione.
Inizialmente, la Fondazione Nobel aveva difeso la sua decisione, sottolineando che agiva in modo indipendente e era ignara della polarizzazione, del nazionalismo e del populismo. Affermava che questa indipendenza contribuiva a diffondere i messaggi importanti legati al premio Nobel.
Nell'anno precedente, l'invito agli inviati diplomatici di Russia e Bielorussia era stato revocato a causa del conflitto in Ucraina, mentre l'ambasciatore dell'Iran era stato escluso a causa della "situazione grave" nel Paese dopo la forte repressione delle proteste legate alla morte di Mahsa Amini, dovuta a controversie riguardanti il velo islamico obbligatorio.