Gramsci e la questione meridionale

A 130 anni dalla nascita del pensatore comunista che intuì le forze della modernizzazione

gramsci e la questione meridionale

Un Uomo politico e pensatore, membro del Psi e fondatore de L'Ordine Nuovo, Antonio Gramsci fece parte dell'esecutivo dell'Internazionale comunista agli inizi degli anni '20 del Novecento. Divenuto segretario del Partito comunista d'Italia e deputato, affrontò la questione meridionale, indirizzando la politica dei comunisti verso l'unione con i socialisti massimalisti. 

Nel 1924 fondò il quotidiano politico l'Unità: per la sua attività e per le sue idee fu condannato a venti anni di carcere. Il suo pensiero politico, espresso anche nei numerosi scritti, si articolò in una rilettura dei fenomeni sociali e politici internazionali dal Risorgimento in poi, che lo portò a criticare per la prima volta lo stalinismo, a teorizzare il passaggio dalla "guerra di movimento" alla "guerra di posizione", a formulare i concetti di "egemonia" e di "rivoluzione passiva".

Gramsci frequentò l'università di Torino, avvicinandosi alla milizia socialista e rivoluzionaria. Nel maggio 1919 fondò L'Ordine Nuovo, settimanale di cultura socialista diretto soprattutto alla classe operaia, che militava in favore dell'adesione del Partito socialista all'Internazionale comunista e a sostegno del movimento dei consigli di fabbrica. Nel 1924 fondò il quotidiano politico l'Unità come organo del Partito comunista d'Italia, dove sfidava la dura linea di repressione perseguita dal governo fascista, la politica comunista verso l'unità con i socialisti massimalisti e verso un radicamento nella società italiana che aveva come fine l'alleanza tra gli operai e le masse contadine del Mezzogiorno ossia la "questione meridionale", linea che ebbe la definitiva sanzione nel terzo congresso del PCd'I. Arrestato poi nel 1926, con altri dirigenti del partito, nel 1928 Gramsci fu condannato dal tribunale speciale a venti anni di reclusione per attività cospirativa e incitamento all'odio di classe e trascorse il periodo detentivo prevalentemente nel carcere di Turi e, dal 1934, in una clinica di Formia. Le condizioni di salute, già incerte, si aggravarono durante la reclusione e morì poco dopo la scarcerazione, avvenuta per amnistia.

La pubblicazione degli scritti politici, sia le Lettere dal carcere e soprattutto, i Quaderni del carcere hanno avuto grande rilevanza nella cultura italiana del dopoguerra. Sul piano politico risale una delle prime e più incisive critiche politiche allo stalinismo, e una bozza di una strategia rivoluzionaria fondata su un'idea non repressiva del potere (egemonia), in grado di tener conto della complessità e delle articolazioni della moderna società industriale.

I Quaderni portano ad un pensiero di ampio respiro critico su molti aspetti della società, della storia e della cultura moderna: attraverso il concetto di "rivoluzione passiva", Gramsci tenta di unificare una serie di fenomeni attuali legati al coinvolgimento e al ruolo delle masse nella società moderna, quali l'"americanismo", la pianificazione sovietica e persino il fascismo. Lo stesso concetto viene utilizzato anche su un piano storiografico, rispetto al quale hanno avuto particolare risonanza le considerazioni sui limiti democratici dello stato nazionale unitario, alla cui base vi è la lettura del risorgimento italiano come rivoluzione popolare mancata. Rilevanti gli approfondimenti su altri temi quali la storia degli intellettuali italiani, il pensiero politico di Machiavelli e il rapporto tra letteratura e società; sul terreno propriamente filosofico, il serrato confronto con Croce, la cui elaborazione viene complessivamente valutata come ritraduzione nel linguaggio idealistico del materialismo storico, si accompagna con un'interpretazione del marxismo in chiave storicistica e antideterministica, lettura che pone al centro della riflessione l'attività umana come è storicamente determinata e l'insieme dei concreti rapporti (economici, sociali, ideologici, giuridici, ecc.) che legano gli uomini tra di loro.