Il Tribunale di Roma, sezione immigrazione, ha ordinato la sospensione del trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza in Albania, una misura introdotta ad ottobre attraverso il decreto sui Paesi di origine sicuri. La decisione riguarda sette persone di origine egiziana e bengalese, che avevano già subito il trasferimento nel centro di permanenza temporanea (Cpr) albanese e che, nelle prossime ore, saranno riaccompagnate in Italia.
In questo contesto, emerge anche il caso di un ottavo migrante, risultato vulnerabile e dunque già rientrato nel Paese. La vicenda mette in luce le ambiguità legali delle nuove normative in tema di immigrazione, una questione che ha spinto i giudici romani a inviare gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), sollevando profili di dubbia compatibilità con la disciplina comunitaria.
Le contestazioni alla normativa del decreto sui Paesi sicuri
Il decreto Paesi sicuri, voluto dal governo Meloni e difeso dal vicepremier Matteo Salvini, punta a gestire i flussi migratori e a snellire le pratiche di respingimento. Esso permette di trattenere alcuni migranti in paesi terzi considerati sicuri per ridurre il carico di accoglienza sul territorio italiano. Tuttavia, secondo il Tribunale di Roma, l’applicazione di tale decreto è in contrasto con il diritto comunitario.
Il nodo della controversia ruota attorno all’interpretazione del diritto UE e alla sentenza CGUE dello scorso 4 ottobre, che stabilisce criteri per la designazione di uno Stato come Paese sicuro e chiarisce le modalità di espulsione e trattenimento. La sezione immigrazione del tribunale capitolino sostiene che il decreto Paesi sicuri segua una linea divergente rispetto alla giurisprudenza europea, in quanto l’Italia ha adottato una normativa che non rispetta pienamente i criteri definiti dalla CGUE. La designazione di un Paese come “sicuro” implica una serie di garanzie giuridiche per i migranti e prevede la tutela dei loro diritti fondamentali durante la permanenza in un paese terzo, aspetto che, secondo i giudici, potrebbe essere stato sottovalutato nella nuova normativa italiana.
Il ruolo della Corte di Giustizia UE
La scelta di rimettere la questione alla CGUE permette di chiarire se il decreto italiano rispetta il principio di prevalenza del diritto europeo, come sancito dalla Costituzione italiana. In particolare, i giudici romani ritengono che, nonostante le prerogative del legislatore nazionale, il diritto comunitario debba prevalere su leggi interne quando esistono conflitti interpretativi. “Deve essere chiaro che la designazione di Paese sicuro è rilevante solo per le procedure da applicare – hanno spiegato i giudici – e non per impedire eventuali rimpatri o espulsioni”.
In attesa della risposta da Lussemburgo, i migranti coinvolti torneranno in Italia, dove proseguiranno le verifiche sulla loro condizione giuridica e la valutazione delle richieste di protezione internazionale.
Salvini: “Sentenza politica”
L’ordinanza del tribunale ha suscitato una forte reazione da parte del vicepremier Salvini, che ha definito la decisione “puramente politica”. Il leader della Lega si è espresso duramente contro l’intervento dei giudici, ritenendo che ostacoli l’applicazione di un decreto concepito per tutelare la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. “Questa sentenza mina l’efficacia di un provvedimento fondamentale per la gestione della crisi migratoria. Si tratta di una decisione che non tutela l’Italia ma serve solo a rallentare le espulsioni,” ha dichiarato Salvini.
La vicenda apre un nuovo capitolo nel dibattito sulle politiche migratorie in Italia e solleva importanti questioni di competenza giuridica tra legislazione nazionale e regolamenti europei. Il confronto tra Bruxelles e Roma, destinato a intensificarsi, riflette la complessità di una materia che, anche a livello giuridico, richiede una cooperazione internazionale per affrontare il fenomeno migratorio senza compromessi sui diritti umani fondamentali.