Il 4 dicembre del 1999 Nilde Iotti si spegnava in una clinica romana, pochi giorni dopo aver dato le dimissioni da tutti gli incarichi per motivi di salute.
A 20 anni dalla sua scomparsa il nostro Paese sembra aver fatto passi indietro enormi dal punto di vista del ruolo che la donna ha nella società. A 20 anni dalla sua scomparsa la figura di Nilde Iotti, la sua forza, il suo essere donna è ancora oggi motivo di riflessione e soprattutto genera ancora oggi discussione e dibattito.
Per il ventennale della sua morte il giornalista Giorgio Carbone ha scritto su Libero “Era facile amarla perché era una bella emiliana simpatica e prosperosa come solo sanno essere le donne emiliane. Grande in cucina e grande a letto. Il massimo che in Emilia si chiede a una donna”. Una descrizione tanto banale quanto volgare, tanto vuota quanto pericolosa. Un articolo che dimostra quanto ancora un sub-pesniero politico-culturale maschilista e sessista possa essere dominante in Italia. Descrivere Nilde Iotti come una donna brava in cucina e a letto non è una contrazione della sua biografia ma un’offesa alla storia della Repubblica italiana.
Nilde Iotti è stata tra le esponenti di spicco dei Gruppi di difesa della donna, formazione partigiana del PCI durante la Resistenza, è stata poi eletta all’Assemblea Costituente diventando una delle madri costituenti e regalandoci uno dei documenti democratici più profondi e belli della storia dell’umanità. È stata rieletta in parlamento ininterrottamente dal 1948 al 1999. Nel 1979 è stata eletta Presidente della Camera, la prima donna a raggiungere una delle massime cariche dello stato, e lo rimase ininterrottamente per 13 anni, fino al 1992. Nilde Iotti è stata una donna forte, ha impegnato tutta la sua vita, la sua passione e le sue forze nelle lotte “faticose, pazienti e tenaci” per l’emancipazione femminile in Italia. Una donna che ancora oggi spaventa e mostra la debolezza di chi è convinto che esista un ruolo di accompagnamento, di servitù e di minorità nel quale relegare le donne.
Oggi, in un’Italia dove esistono ancora ostacoli e impedimenti materiali alla vera emancipazione femminile, in un Paese che sembra destinato a vivere il suo futuro come una perenne sfida tra uomini in preda ad una crisi di testosterone, dove le diseguaglianze salariali, economiche e di diritti tra uomo e donna sono ancora una realtà che non viene affrontata, la figura di una donna forte, indipendente e capace di raggiungere e interpretare con disinvoltura e sapienza i ruoli di potere è ancora un tabù che terrorizza ancora chi si sente minacciato.
Per questo ricordare quel 20 giugno del 1979, quando per la prima volta una donna veniva eletta Presidente della Camera, quando con coraggio, dignità e forza Nilde Iotti, in piedi davanti ai deputati, pronunciò il suo primo discorso da Presidente della Camera, ha oggi un significato profondo per un Paese che ha l’obbligo di riscoprire e ridare valore alle figure che hanno fatto la storia della libertà e dei diritti di tutti gli italiani.
Onorevoli colleghi, con emozione profonda vi ringrazio per avermi chiamato col vostro voto e con la vostra fiducia a questo compito così ricco di responsabilità e di prestigio. Voi comprenderete, io credo, la mia emozione. In questo alto incarico mi ha preceduto l'onorevole Pietro Ingrao, che fino a ieri ha diretto i nostri lavori con grande intelligenza e imparzialità, e prima ancora l'onorevole Sandro Pertini, oggi Presidente della Repubblica, a cui va il mio deferente saluto (Vivissimi applausi).
Ma in particolare comprenderete la mia emozione per essere la prima donna nella storia d'Italia a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato (vivissimi applausi).
Io stessa - non ve lo nascondo - vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l'affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita.
Il momento che attraversiamo è drammatico e difficile, ne siamo tutti consapevoli. Il terrorismo continua nella sua opera nefasta e delittuosa. Pochi giorni fa a Roma si è tentata ancora una volta «la strage» su pacifici lavoratori riuniti in una loro sede, nell'espressione del primo e più alto diritto democratico e costituzionale, quello della libertà di associazione e di espressione. Questa nostra stessa Assemblea ha dovuto ricorrere a misure di sicurezza, senza alcun dubbio necessarie. Ma guai a noi, onorevoli colleghi, se non avvertissimo con tutta la nostra forza e con tutto il nostro senso di responsabilità che le assemblee parlamentari esprimono al più alto grado la sovranità popolare. Non possono perciò, per la loro stessa natura, divenire un fortilizio, ma devono continuare a essere, anzi essere sempre di più, assemblee aperte al nostro popolo, alla grande forza di democrazia e di unità che lo anima. Lo provano ogni giorno la risposta puntuale alle provocazioni del terrorismo e le stesse elezioni. A questa forza dobbiamo ricondurci in ogni momento della nostra azione, sicuri che essa non verrà mai meno, che anzi essa costituisce la base prima di un possibile successo. In questo spirito va il nostro saluto e augurio alla magistratura, alle forze dell'ordine e alle forze armate, così duramente impegnate nella difesa della democrazia e della libertà.
Su tutti noi, onorevoli colleghi, incombe un compito arduo. Ognuno di noi ha avvertito - io credo - negli anni appena trascorsi, malgrado la mole sempre più ingente di lavoro svolto e l'abnegazione dei parlamentari, la difficoltà per le assemblee di vivere e operare col paese, per rispondere ai mille e drammatici problemi dell'economia e dei lavoratori, nelle fabbriche e nelle campagne, dei giovani, delle donne, della pubblica amministrazione, della scuola, della magistratura, delle forze armate e delle forze dell'ordine, dei pensionati. Cioè a quel complesso ed intricato processo di democrazia e di liberazione, che è segno del nostro tempo e che accompagna l'avanzare dei lavoratori alla direzione dello Stato.
Il Parlamento, questo altissimo strumento di democrazia, non può e non deve essere superato dai tempi. Esso, al contrario, deve riuscire a guidare questo processo. Non già nel senso di confondere le diverse funzioni degli organi istituzionali dello Stato - ché nessuno più di me, per il mio stesso lontano passato, è convinto che tali diverse funzioni sono presidio di democrazia -, ma nel senso che il Parlamento diventi iniziativa, stimolo, confronto e incontro delle volontà politiche del paese e assolva in questo modo la sua altissima funzione di guida. Fare questo con rigore, con dedizione, con probità significa attuare la Costituzione repubblicana, renderla operante ispiratrice della vita del paese.
Onorevoli colleghi, nelle settimane immediatamente trascorse sono avvenuti due fatti di importanza eccezionale: l'elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo e la firma dell'accordo «Salt II» fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Mentre ribadisco l'impegno della nostra Assemblea per una politica di distensione e di pace, consentitemi di collegare per un momento i due avvenimenti, nel senso cioè che le elezioni del Parlamento europeo (che ci pongono anche delicati problemi di coordinamento) costituiscono un passo qualitativo verso la costruzione di una Europa unita, capace di contare nel mondo per una politica di disarmo, di pacifica coesistenza e di pace.
Infine sento di dover sottolineare di fronte a voi, onorevoli colleghi di tutte le parti, il mio impegno a presiedere i nostri lavori con la più assoluta imparzialità, nella rigorosa applicazione del regolamento in ogni sua parte, per la tutela in primo luogo dei diritti delle minoranze, ma anche per la tutela del diritto-dovere della maggioranza di legiferare. Mi pare inoltre opportuno proseguire l'opera, avviata dal mio predecessore onorevole Ingrao, di aggiornare il regolamento alle nuove e mutate esigenze di funzionalità del Parlamento. Da questo alto seggio invio il mio saluto al Presidente del Senato e al Presidente della Corte costituzionale e a voi, colleghi della stampa e della televisione, che seguite i nostri lavori, chiedendovi di collaborare con noi, attraverso l'informazione e la critica, a far vivere nel popolo i lavori di questa Assemblea, nell'interesse comune della democrazia e del paese. So infine di poter contare sull'aiuto intelligente ed essenziale che ci verrà da tutto il personale della Camera, dal Segretario generale dottor Longi, da tutti i funzionari, da tutti i dipendenti.
A voi, onorevoli colleghi di tutte le parti, buon lavoro. Mi auguro di poter contare sulla vostra personale collaborazione nel difficile compito di dirigere questa Assemblea, nell'interesse del popolo, della democrazia e dell'Italia (Vivissimi, prolungati applausi).