"Gentile dottoressa Franzese, sono giorni che mi chiedo cosa significhi fare scuola. Chi crede, come me, nel valore dell’educazione sa che quello di insegnare è uno dei lavori più delicati e, allo stesso tempo, più importanti del mondo. Per me, fare scuola significa aiutare i ragazzi a cambiare il mondo e a rincorrere i propri sogni, fornendo loro gli strumenti necessari per farlo." Inizia così la lettera aperta di un padre indirizzata a Luisa Franzese, direttrice dell’Urs della Campania.
"Sono il papà di Antonio, 18 anni; mio figlio è uno studente dell’Istituto ITES “Leonardo Da Vinci” di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Nel 2004, gli fu diagnosticata una grave forma di celiachia, in conseguenza della quale la Commissione Asl per l’accertamento degli stati di invalidità civili gli ha riconosciuto l’indennità di frequenza, ai sensi della legge 289 del 1990.
Già a settembre di due anni fa, Antonio subì una bocciatura dalla dubbia legittimità che gli provocò un vertiginoso dimagrimento di 12 chili, certificato dalla dottoressa Maria Erminia Bottiglieri, presidente degli ordini dei Medici di Caserta, e un grave stato di malessere psicologico.
Fu una situazione assurda. Antonio era iscritto alla 2C: il consiglio di classe, formato da insegnanti di grande valore, deliberò la sua partecipazione ai corsi estivi, al fine di recuperare alcune insufficienze registrate durante l’anno, dovute, in gran parte, alla sua malattia, e consentirgli di poter accedere al terzo anno.
Antonio, fino all’11 settembre del 2018, risultava inserito ed ammesso alla 3E. Poi, quel giorno, ricevemmo una telefonata dalla scuola con cui, con grande leggerezza, ci fu comunicata la sua bocciatura. Ci fu detto che l’ammissione era dovuta a mero errore. Ripeto, si sarebbe trattato di un mero errore. Mah!
In questi anni, ho cercato in tutti i modi di instaurare con la dirigenza scolastica, oggi retta da Angelina Di Nardo, un dialogo costruttivo, che consentisse il reintegro di mio figlio alla 5 classe, così da consentirgli il proseguimento dell’attività scolastica nel migliore dei modi, a vantaggio, soprattutto, della sua la sua condizione psicofisica, mia primaria preoccupazione.
In più occasioni, il Tar si è espresso ribadendo l’obbligo dell’Istituzione scolastica di adottare misure compensative e modalità valutative che permettano a studenti come mio figlio di essere giudicati in considerazione della loro patologia. Mi spiego: non chiedo per lui un percorso privilegiato, ma neppure che Antonio sia considerato uno studente come gli altri, perché, per sua e nostra sfortuna, non lo è.
Dopo un fitto carteggio, il 7 luglio la dirigente Di Nardo ha concesso a mio figlio la possibilità di sostenere gli esami di idoneità alla classe 5D: sembrava si fosse aperto uno spiraglio di luce. E, invece, no. Il calendario delle prove è stato implacabile: il primo scritto è stato fissato il 13 luglio, dopo appena 6 giorni; l’ultimo, il 16 luglio. L’esito era scontato: mio figlio è stato bocciato per la seconda volta.
Se fosse stata animata dalla buona fede, Di Nardo, nell’interesse del ragazzo e della scuola, avrebbero potuto concedergli quasi due mesi di tempo per prepararsi, anziché pochi giorni. Unendo i puntini di questa storia triste, ravviso, dunque, una premeditazione che rasenta la cattiveria nel suo comportamento, e non da oggi.
Sarò anche il padre e il mio giudizio sarà pure condizionato dall’amore che provo per Antonio, non c’è dubbio. Ritengo, tuttavia, che mio figlio abbia subìto una clamorosa ingiustizia, per la quale mi auguro lei intervenga a porvi rimedio; altrimenti, sarò costretto a rivolgermi alla magistratura.
Fare scuola, come dicevo, significa aiutare i ragazzi a rincorrere i propri sogni: oggi mio figlio ha già perso 20 chili e mi dice di non avere più sogni da rincorrere."
Un padre di Macerata Campania, Pietro Fabozzi.