“Ancora un’aggressione contro il personale penitenziario del carcere di Santa Maria Capua Vetere che continua a pagare direttamente una situazione non più tollerabile perché di fatto è impossibilitato a qualsiasi tipo di difesa personale e di contenimento di atti di violenza”.
Così il segretario generale del sindacato polizia penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: “non è casuale che ad aggredire gli agenti sia stato lo stesso detenuto già autore di violenze che continua a contare sull’impunità e perché non rischia nulla, tenuto conto che al massimo può essere trasferito in altro carcere dove continuare la “caccia all’agente”.
Sono rarissimi - dice Di Giacomo - i casi di detenuti-aggressori che hanno ricevuto sanzioni trasformate in incremento della pena da scontare.
E’ in fondo la “molla” che ha fatto aumentare in un anno del 4mila per cento il numero di personale penitenziario che ha subito lesioni in alcuni casi anche gravi. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla difficoltà degli agenti ad individuare quale modalità e quale strumento di difesa poter attuare perché su di essi pende la minaccia di tortura che li costringe di fatto a “volgere l’altra guancia”.
Proprio dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere è scattata la campagna di linciaggio nei confronti dell’intero Corpo di Polizia Penitenziaria, additandoli tutti per “torturatori” e “violenti” confondendo “vittime” e “carnefici”. In quell’occasione sono fioccate dichiarazioni, prese di posizione, interrogazioni parlamentari insieme a paginate di giornali.
In pochi si sono chiesti però cosa accade nelle carceri dove solo nello scorso anno le aggressioni agli agenti ad opera di detenuti sono state in media 1 ogni 4 giorni e con 42 agenti costretti al ricovero in ospedale e a periodi di lunga convalescenza.
Purtroppo nessuno esprime almeno una generica solidarietà al personale e alle famiglie del personale che porterà per sempre i segni dell’aggressione con una discriminazione sempre più inaudita: gli incidenti che avvengono in qualsiasi posto di lavoro sono, giustamente, denunciati all’opinione pubblica mentre se un servitore dello Stato in carcere subisce un’aggressione passa per normalità. Ancora una volta registriamo come l’Amministrazione
Penitenziaria e la politica siano lontani dai problemi veri del personale penitenziario ad eccezione di rituali visite ed incontri in carcere”.