Tratta esseri umani e riduzione in schiavitù: fermati in due

Avevano promesso a una ragazza il matrimonio in Italia: l'avevano ridotta a fare la prostituta

Un uomo e una donna di nazionalità nigeriana sono stati fermati dai carabinieri di Castelvolturno. Gli indagati sono ritenuti responsabili dei reati di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù con la finalità dello sfruttamento della prostituzione. 

L’attività iniziata nell’ottobre del 2016, ha consentito agli investigatori di delineare la tratta di una ragazza nigeriana, dall’adescamento in Nigeria, durante tutto il viaggio verso le coste libiche, sino all’avvio alla prostituzione lungo la via Domiziana di Castel Volturno. La vittima, convinta con l’inganno a venire in Italia, grazie alla promessa di matrimonio proposta da uno dei due indagati, trasformatosi poi nel suo aguzzino, si è trovata ad essere oggetto di una intensa trattativa economica tra trafficanti di donne, conclusasi con il pagamento di una cifra pari a tremila euro, versata dai due soggetti arrestati, al loro contatto in Nigeria. La cifra, secondo gli operanti, avrebbe coperto le sole spese di viaggio della vittima dalla Nigeria all’Italia e che, come accaduto negli ultimi fatti di cronaca, è avvenuto, anche in questo caso, con l’utilizzo dei ‘barconi’ con partenza dalle coste Libiche verso quelle italiane. La collaborazione della vittima, sentita dai militari del citato Nucleo Operativo dopo aver accertato quanto risultava dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, è stata fondamentale, in quanto, ha confermato le risultanze investigative. In particolare sono emersi i dettagli più drammatici della vicenda, tra cui i particolari del tragitto che l’hanno portata sino alle coste libiche.

Il viaggio, infatti, lungo circa 4.000km, è partito da Kanu (Nigeria) per poi passare da Agadez (Niger) ed infine raggiungere Sebha (Libia) dove ha dovuto attendere circa 2 mesi per l’imbarco a Sabratha (Libia). La vittima, ha raccontato agli inquirenti, che i due mesi di attesa, li ha trascorsi in un luogo chiamato “ghetto” dove non avevano possibilità di telefonare se non contendendosi, con gli altri compagni di viaggio, i pochi telefoni a disposizione dei trafficanti. L’attesa al ghetto era necessaria per far in modo che gli scafisti si accordassero su quando partire, sia per quanto concerne le condizioni del mare, sia per decidere chi effettivamente si doveva imbarcare. La donna racconta la traversata nel mediterraneo, effettuata su un barcone assieme ad altri 100 connazionali, scortati da due scafisti. Una volta sbarcata è stata accolta nel centro di accoglienza di Martina Franca dove è stata poi prelevata, qualche giorno dopo il suo arrivo, dall’uomo tratto in arrestato dai militari di Mondragone, che le aveva promesso di sposarla. Proprio il tragitto da Martina Franca a Castel-Volturno è stato il frangente più triste. La ragazza, mentre percorreva la Domiziana, per raggiungere casa del suo futuro sposo, lo sente ironizzare sulle altre prostitute nigeriane a bordo strada, dicendo che anche quelle sono venute in Italia per lavorare. Da lì il suo aguzzino l’aveva messa al corrente del vero motivo per il quale era stata fatta arrivare in Italia, cioè prostituirsi, fino a quando gli avrebbe pagato la somma di 25.000 euro per riavere la propria libertà. La vittima conferma agli inquirenti che proprio in quel momento capisce di essere finita in un grande inganno che trova maggior conferma quando, una volta arrivata a casa del suo aguzzino, trova un’altra donna, attuale compagna dell’indagato, anche lei arrestata, che la introduce al discorso della prostituzione e che diventerà la sua diretta sfruttatrice. In quella sede, racconta la ragazza, gli spiegarono dove doveva prestare l’attività di meretricio e le ‘tariffe’ che doveva applicare ai clienti. Oltre al pagamento del debito, la vittima era costretta a pagare 100 euro al mese per l’affitto della stanza, dove avrebbe dovuto dormire, e 200 euro mensili per il cibo. Una situazione assolutamente insostenibile considerando che avrebbe dovuto ricevere circa 20 euro per una singola prestazione sessuale. Durante i mesi, la ragazza è dovuta sottostare ai voleri dei due nigeriani, essi la controllavano a vista sul luogo dove esercitava il meretricio, riprendendola più volte per il suo comportamento poco accattivante verso i clienti nonché mortificandola per gli esigui guadagni della giornata. Spesso, qualora gli indagati non fossero soddisfatti del guadagno giornaliero, veniva costretta a sottostare a delle punizioni, come ad esempio la privazione del telefono con cui poteva chiamare i familiari in Nigeria oppure l’obbligo di fare le pulizie di casa. In estrema ratio, qualora non avesse guadagnato abbastanza, veniva minacciata di essere collocata in una casa per prostitute chiamata nel loro ambiente “connection-house”.