Chi a Napoli contro De Magistris, chi a Salerno contro il ministro Salvini. Chi a Benevento, con tanto di gilet evocativi, rigorosamente azzurri, tutti in questi giorni stanno tentando di prendersi le piazze.
I 5Stelle sono partiti da lì. Avevano un oracolo che faceva pure ridere e un'idea di base che era cucita addosso alla rabbia della gente. Dai vaffaday a oggi la strada percorsa è stata notevole. In mezzo c'è stata anche la fiammata parigina, con i gilet gialli che le piazze non volevano conquistarle ma distruggerle.
E' come se le cose volessero ripartire da capo, dal basso.
La democrazia, in particolare i partiti, si sono allontanati tanto, troppo da quello che sente l'uomo comune, il militante in questo caso. Allora le persone iniziano a muoversi, ad agitarsi, a fare “ammuina”. Anni e anni fa, le piazze erano il terreno di confronto dei sindacati, i cortei mostravano i muscoli al padrone delle ferriere, ai politici che dovevano sedersi e trattare rinnovi di contratti nazionali. Ma anche i sindacati, come i partiti, si sono confinati nel palazzetti, usano il marketing e le grafiche emozionali. Pure uno come Landini, pur di scalare l'establishment interno, ha dovuto fare massicce iniezioni di doroteismo.
La piazza è l'arma che può cambiare la storia ma perché sia vera deve avere un cuore, una ragione, una battaglia seria.
A Napoli, a Salerno, a Benevento con la senatrice Lonardo non c'è traccia di rabbia. I partiti che chiamano sono animati da speculazione, contingenza spicciola: le scadenze elettorali vicine, la necessità di dare spallate al governo, e bla, bla, bla. Ad Avellino persino il deputato Cosimo Sibilia, scomparso dalla circolazione il giorno dopo essere stato eletto al quarto mandato in Parlamento, si è riproposto con un gazebino in città, convinto solo dai 25 anni di Forza Italia.
Magari quello che manca è un motivo “per” scendere in piazza, costruire scenari diversi e non, come sta accadendo, solo per dirsi “contro” qualcuno o qualcosa. Se non indichi un orizzonte la piazza non ti segue.