Un federalismo sbilanciato e parziale, che rischia di avvantaggiare solo i più forti. Dalla Campania si apre un fronte unito contro la cosiddetta “autonomia differenziata” delle regioni del Nord, una battaglia che riesce a mettere insieme forze politiche trasversali, industriali, sindacati e anche qualche pezzo di forze di governo, quelle nate al sud per intenderci, che però fino ad ora non sono riuscite a far sentire bene il proprio peso sulla bilancia giallo verde.
A fare il primo passo è stato il Governatore Vincenzo De Luca che ieri in aula all'ultimo punto della risoluzione approvata in Regione, ha proposto un accordo tra maggioranza e opposizioni. L'obiettivo è portare sui tavoli interregionali la voce univoca di un sud che chiede un federalismo più equo.
Una presa di posizione che accoglie anche le richieste giunte dal gruppo di Forza Italia avanzate nella risoluzione alla manovra finanziaria regionale. Il centrodestra peraltro è impegnato con Stefano Caldoro nella raccolta di firme per il referendum della macro regione meridionale.
La comune battaglia contro “l'autonomia dei forti” diventa anche la nuova trincea del Partito Democratico. I quattro candidati alla segreteria regionale del Pd dicono no a un'Italia a due velocità. Secondo Umberto Del Basso De Caro, Leo Annunziata, Rodolfo Visconti e Armida Filippelli “Non possiamo rinunciare a un'idea solidale di Italia che non abbandona il sud. Avremo una caduta verticale dei servizi, scuola e sanità. Il Pd – avverte De Caro – è sempre stato a favore delle autonomie regionali, ma sempre nel quadro di uno Stato Unitario”.
Il prossimo 15 febbraio il premier Conte incontrerà i governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna per illustrare la proposta di autonomia dell'esecutivo gialloverde. In sostanza queste regioni potranno trattenere sul proprio territorio il loro gettito fiscale. Da quel momento lo Stato non potrà più garantire una redistribuzione equa delle imposte. Questo significa scuole, servizi sanitari e trasporti migliori al nord.
Il rapporto Svimez 2018 del resto conferma il divario storico che si è accentuato negli ultimi 15 anni tra settentrione e meridione dello stivale. Nonostante i segnali di ripresa degli ultimi anni, il Mezzogiorno, se non sostenuto da politiche finalmente mirate e consistenti, rischia una forte frenata.
La dinamica attuativa del federalismo fiscale induce un calo dei trasferimenti statali verso gli enti locali e quindi le regioni e gli stessi comuni sono costretti a pestare sul pedale delle imposte locali. Portando a situazioni paradossali in cui l’incidenza delle imposte nelle città del Sud risulta persino maggiore rispetto a quella osservata al Nord.
I sostenitori dell'autonomia delle regioni del Nord mettono in luce invece il residuo fiscale. Regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto vantano attivi rispettivamente di 54 miliardi, 18 miliardi e 861 milioni e 15 miliardi e 458 milioni, a fronte di Sicilia, Calabria e Campania con passivi di 10 miliardi e 61 milioni, 5 miliardi e 871 milioni, e 5 miliardi e 705 milioni. Il rapporto Svimez mostra però, tabelle alla mano, come i numeri debbano essere oggetto di riflessione e meditazione, prima di lasciare il timone al miope egoismo localistico.
20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi. Inoltre, la domanda proveniente dal Sud ha un effetto moltiplicativo sulle altre macroaree del Paese. La migrazione intellettuale dei laureati causa, al Sud, una perdita secca in termini di spesa pubblica investita in istruzione e non recuperata di circa 2 miliardi l’anno, mentre l’emigrazione studentesca comporta spostamenti di risorse per circa 3 miliardi l’anno (i genitori che pagano affitto e tasse universitarie ai figli fuori sede per esempio).
Questo conferma che c'è una interdipendenza economica che potrebbe rafforzare il paese nelle sue componenti territoriali. Non capirlo o fingere di non capirlo è un’operazione pericolosa.
Molto preoccupato si è detto il presidente dell'Unione Industriali di Napoli e di Confindustria Campania Vito Grassi. "Non ci tranquillizzano i continui richiami della Lega alla “questione settentrionale” che attenderebbe una soluzione proprio dalla legge sull’autonomia. E come si pensa di risolvere, invece, l’eterna questione meridionale?" chiede Grassi . La partita che ora si giocherà in Parlamento sarà fondamentale. E in quel caso bisognerà confidare nel senso di appartenenza al sud da parte di chi ci rappresenta.
Da qui l'appello del presidente industriali campano ai parlamentari eletti nei collegi del sud, in particolare ai Cinque Stelle.
Ma chi si aspetta che la componente gialla del Governo si alzi a difesa delle regioni del sud potrebbe rimanere deluso. I cinque stelle hanno già sprecato molte cartucce per portare a casa il reddito di cittadinanza dopo un estenuante tira e molla sulle cifre con l'alleato leghista. Nonostante le dichiarazioni di dissenso giunte dai ministri pentastellati, quasi tutti originari del sud, la componente grillina del consiglio regionale non ha aderito al patto bipartisan proposto da De Luca.