di Luciano Trapanese
Per qualche anno la politica italiana si è riempita la bocca con la parola “giovani”. Tutto in funzione dei giovani. A favore dei giovani. Perché il futuro è dei giovani. Propaganda.
Oltre al bonus di 500 euro per i 18enni e la precarietà assicurata anche con il lavoro a tempo indeterminato (per chi ce l'ha), non s'è fatto. I giovani restano lì, con il 40 per cento di disoccupati, un'altra buona parte che nemmeno cerca un lavoro e la prospettiva – per tutti – di una pensione che non arriverà mai. E se poi arriva (siamo ai limiti del miracolo), è al di sotto dell'attuale assegno sociale.
Fame da giovani e fame da vecchi. Insomma, una bella vita.
In questo mare grigio di speranza, la politica ha alzato le mani. Del resto lo sguardo è sempre troppo corto. Non arriva oltre la prossima consultazione elettorale (che sia un referendum, le politiche o le amministrative). E al voto gli anziani pesano decisamente di più. Quasi il doppio. Si recano – a differenza degli under 35 – in massa al voto. Sono più propensi a scegliere nell'urna chi già detiene il potere. Una serie di cause che spingono i partiti a privilegiare, per banali calcoli elettorali, provvedimenti a favore degli anziani. E così, via alla 14esima per le pensioni fino a un certo reddito, via all'ape, uscita anticipata dal mondo del lavoro. E così, da provvedimento a provvedimento. Per carità, non ci sarebbe nulla di male. Il punto è che manca una politica di largo respiro per creare possibilità di lavoro per i giovani, soprattutto in un mondo che è cambiato e che non segue – e da un pezzo – le modalità tipiche del millennio scorso.
E' una scelta miope che pagheranno non solo le nuove generazioni. Ma l'intero Paese. Gli anziani in questo momento si sostituiscono al welfare. Sono loro a supportare i familiari che non riescono ad arrivare a fine mese. Che accudiscono i bambini e spesso offrono ospitalità in casa. Ma – è chiaro – non durerà per sempre. Cosa accadrà dopo, quando inevitabilmente gli anziani non ci saranno più?
Nel frattempo lasciamo marcire le energie, la forza, la vitalità e la creatività che solo possono arrivare da chi si affaccia oggi sul mercato del lavoro. Talenti inespressi, che ammuffiscono in una affannata ricerca del lavoro. E che spesso sono costretti – pur di guadagnare qualcosa – ad accettare impieghi, selvaggiamente sottopagati, e per i quali non hanno studiato.
E' una deriva insensata. Abbiamo capito: c'è la crisi. Ma di fronte alle evidenti difficoltà economiche, alle nuove sfide di un mondo che è in rutilante cambiamento, la politica non offre soluzioni. Neppure discute per trovare soluzioni. Solo pannicelli caldi (come i 500 euro ai neo maggiorenni). Bonus, piccoli premi. Ma il futuro resta un enorme buco nero.
Quello che un po' sorprende è l'amara rassegnazione delle giovani generazioni. O meglio: una mancanza di reazione. C'è chi parte, chi accetta quello che trova e chi si è arreso. Bisognerebbe almeno regalare una speranza, una via d'uscita. Una luce in fondo a questo tunnel. Ma fino a quando la politica sarà impegnata in una perenne campagna elettorale, nessuno avrà il coraggio di imporre una visione a lungo termine. Nessuno tenterà di percorrere strade diverse per ricostruire alla base la forza del Paese. Più comodo, evidentemente, coccolarsi gli anziani. Sono di più, votano tutti, assicurano anche una parte dello stato sociale.
Che importa del futuro.