Era il pomeriggio del 19 novembre 1863, in piena guerra di Secessione Americana, quando l’allora Presidente Abraham Lincoln a Gettysburg, cittadina teatro di una delle battaglie più cruenti di quella guerra civile che stavano spaccando la giovane nazione statunitense, pronunciò il discorso più profondo della storia americana.
Un discorso di soli 3 minuti, conciso e brevissimo ma allo stesso tempo così profondo e articolato da entrare di diritto nella storia dell’oratoria politica dell'umanità.
Lincoln in un momento di divisione estrema della società americana, mentre gli stati del nord e del sud si affrontavano in una dura guerra con al centro la questione della schiavitù, fu capace in sole 145 battute a ridare spessore e slancio al sogno di uguaglianza e libertà sul quale l’America è nata. La grande sensibilità di dare valore e onore ai morti senza distinguere tra unionisti e confederati, senza fare differenze tra i nordisti e i sudisti.
Abraham Lincoln era un presidnete repubblicano ma il suo era un partito repubblicano che nulla ha a che vedere con quello di oggi. Il Partito Repubblicano Americano era a quei tempi una giovane e moderna organizzazione politica fortemente liberale, democratica, convintamente contro la schiavitù e molto egualitaria. In quel pomeriggio il Presdinete che stava avendo a che fare con un momento drammatico della storia della sua nazione ebbe la capacità, il coraggio e la forza di rilanciare l’idea della democrazia come “l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo”.
Quello di Gettysburg dimostra che lo spessore ed il valore di un discorso non dipende dalla sua lunghezza, né tantomeno dalla sua complessità, ma dalla profondità e dalla capacità di chi lo pronuncia di arrivare in maniera onesta, diretta e forte al cuore delle persone.
Or sono sedici lustri e sette anni che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella Libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali. Adesso noi siamo impegnati in una grande guerra civile, la quale proverà se quella nazione, o ogni altra nazione, così concepita e così votata, possa a lungo perdurare.
Noi ci siamo raccolti su di un gran campo di battaglia di quella guerra. Noi siamo venuti a destinare una parte di quel campo a luogo di ultimo riposo per coloro che qui dettero la loro vita, perché quella nazione potesse vivere. È del tutto giusto e appropriato che noi compiamo quest'atto. Ma, in un senso più ampio, noi non possiamo inaugurare, non possiamo consacrare, non possiamo santificare questo suolo.
I coraggiosi uomini, vivi e morti, che qui combatterono, lo hanno consacrato, ben al di là del nostro piccolo potere di aggiungere o portar via alcunché. Il mondo noterà appena, né a lungo ricorderà ciò che qui diciamo, ma mai potrà dimenticare ciò che essi qui fecero. Sta a noi viventi, piuttosto, il votarci qui al lavoro incompiuto, finora così nobilmente portato avanti da coloro che qui combatterono.
Sta piuttosto a noi il votarci qui al grande compito che ci è dinnanzi: che da questi morti onorati ci venga un'accresciuta devozione a quella causa per la quale essi diedero, della devozione, l'ultima piena misura; che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra.