Carceri, Sappe: "Da Papa Francesco, grande segnale di inclusione e speranza"

"La comunità penitenziaria è parte integrante delle nostre città e delle nostre Regioni"

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Sappe: "Apertura porta santa a Rebibbia, straordinario messaggio di inclusione territoriale e di speranza"

"Con l’apertura della Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, Papa Francesco ci consegna, non solo simbolicamente, uno straordinario messaggio di speranza e di inclusione sociale, perché la comunità penitenziaria è parte integrante delle nostre città e delle nostre Regioni. E la verità è che la situazione delle carceri resta allarmante".

Il Sappe ribadisce di essere pronto a fornire la propria costruttiva collaborazione per mantenere al centro del dibattito politico il carcere e le esigenze di chi in esso lavora in prima linea, come i poliziotti penitenziari, potenziando il ricorso all’area penale esterna per quei detenuti che non sono pericolosi e che hanno pene brevi da scontare",

Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria, a margine dell’apertura oggi della porta santa di papa Francesco, per il Giubileo, al carcere di Rebibbia. 

“Nelle carceri italiane il personale di polizia penitenziaria è stremato dai logoranti ritmi di lavoro a causa delle violente e continue aggressioni: deve fare seriamente riflettere l’alto numero dei suicidi tra i baschi azzurri e l’alto tasso di stress correlato al servizio, dimostrato dai moltissimi episodi di inabilità parziale e permanente di tante colleghe e colleghi. Per le carceri servono, anche, più formazione ed aggiornamento ma anche più tecnologia e più investimenti. La situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose".

"La sorveglianza dinamica nei penitenziari italiani ha mostrato tutti i suoi limiti, è evidente!”, prosegue il leader del Sappe. “Per avere un carcere sempre più sicuro occorrerà pensare ad un insieme di misure e strategie che rendano la vita dei detenuti sicura, quella degli agenti meno problematica e quella della macchina meno complessa e più efficace. Va bene la tutela dei diritti, ma si parta da quelli dei poliziotti e delle persone per bene.

Ogni giorno nelle carceri italiane succede qualcosa, ed è quasi diventato ordinario denunciare quel che accade tra le sbarre. Così non si può andare più avanti: è uno stillicidio continuo e quotidiano.

Anche eventuali amnistie, indulti e condoni servono a poco se poi non seguono riforme strutturali: lo abbiamo visto nel 2006, quando buona parte dei detenuti usciti sono poi rientrati in carcere perché non c’era una realtà sociale sui territori pronti ad accoglierli. Sarebbe ed è, dunque, del tutto ipocrita invocare soluzioni del genere per fare fronte ad un problema reale che vede coinvolti in primis gli appartenenti al corpo, conclude Capece. Piuttosto, servirebbe un potenziamento nell’ambito dell’area penale esterna, con contestale nuovo contesto ed impiego operativo del personale di polizia penitenziaria, per coloro i quali si trovano nelle condizioni previste dalle leggi, con contestuale diverso impiego operativo dei poliziotti penitenziari".