di Luciano Trapanese
Era un mio amico. Primi anni '80. Buona famiglia, studente. Nessun problema. I carabinieri lo hanno beccato con qualche grammo di hashish. Aveva avuto la malsana idea di finanziarsi con un po' di spaccio l'acquisto di un “Sì” della Piaggio. Fino a quel giorno il “fumo” era stato tollerato. Poi, le retate. Proprio mentre l'eroina iniziava a scorrere nelle vene di migliaia di giovani.
Quel ragazzo si uccise due settimane dopo. Era agli arresti domiciliari. I genitori, due insegnanti, lo trovarono nella sua stanza. Impiccato.
Ci sono state tante storie simili da allora. L'ultima – lo saprete – qualche giorno fa, in Liguria. Un 16enne si è lanciato dal balcone di casa, davanti alla madre e ai finanzieri che stavano perquisendo la sua abitazione. Si è ucciso per dieci grammi di hashish.
Sono queste tragedie a riproporre in modo drammatico l'ormai antica questione sulla legalizzazione delle droghe leggere.
Trenta e passa anni di “proibizionismo”, migliaia di vite andate in frantumi e affari d'oro (sempre in crescita), per la malavita organizzata, dovrebbero suggerire un cambio di rotta rispetto all'hashish e alla marijuana.
Sui fatti di Genova, nessun appunto alle forze dell'ordine. Se ci sono delle leggi, le fanno rispettare. Punto. E se qualcuno viene preso con della droga (anche leggera), il passo successivo e inevitabile è la perquisizione domiciliare (dove puoi nascondere dieci grammi o cinquanta chili di sostanza).
Il problema è la legge, appunto (quella sulla legalizzazione è bloccata in Parlamento. E lì resterà).
I consumatori di hashish e marijuana sono stimati tra i quattro e i cinque milioni in Italia. Un numero imponente. E imponente è il giro d'affari lasciato nelle mani delle mafie.
Il piccolo spaccio è spesso affidato a giovanissimi o – soprattutto nelle grandi città – a immigrati africani (che lavorano alle dirette dipendenze del crimine organizzato).
Lasciamo perdere qualsiasi questione ideologica o moralistica sul consumo di marijuana. Mettiamo da parte le tesi di quanti sostengono che l'erba non sia così dannosa e abbia addirittura effetti positivi su alcune patologie (anoressia, epilessia e artrite reumatoide).
Il punto vero è un altro. Se la repressione non ha frenato – anzi – il consumo, e ha riempito le tasche dei criminali, rovinato la vita di tanti ragazzi (non per il consumo, ma per le manette), forse sarebbe ora di prendere in esame la possibilità che a gestirne la vendita sia direttamente il Monopolio di Stato.
Lo hanno fatto altrove e di recente. Soprattutto negli Stati Uniti (California e Colorado, tra gli altri). Ottenendo due risultati.
Il primo, imprevedibile: è diminuito il numero di consumatori (forse una sostanza non proibita perde parte del suo fascino, non è trasgressiva).
Il secondo, scontato: lo Stato ha incassato un bel po' di soldi. Non solo per la vendita sic et simpliciter. Ma anche per l'inevitabile indotto (produttori, aziende di distribuzione e trasformazione, e così via).
Ne abbiamo già parlato, ma sapete qual è la regione italiana dopo la Sardegna dove si produce la marijuana più pregiata? La Campania, naturalmente. Un altro buon motivo per tornare all'agricoltura...
Ma al di là di tutto, sarebbe anche importante togliere una fonte di guadagno alle ricche organizzazioni criminali. Oltre a impedire “contatti pericolosi” ai giovani consumatori che per procurarsi un po' di erba devono spesso frequentare certi ambienti. Spesso più rischiosi della stessa marijuana.
La legge – che prevede anche la possibilità di coltivare una piccola quantità di erba (due piante) – resterà a naturalmente marcire in Parlamento. Si farà a meno pure di discuterla. In fondo vietare è più semplice. Anche se è un divieto che in tanti decenni nessuno è riuscito a far rispettare. E ha solo ingrossato i già lauti guadagni delle nostre prosperose mafie. Oltre a causare tragedie come quelle di Genova.