Vivere di camorra? Lo fanno tanti campani. Che ringraziano

Un paradosso: senza gli affari sporchi crollerebbe il pil campano.

Il “sistema” garantisce stipendi a decine di migliaia di persone, molte delle quali oneste e ignare. Anche per questo i clan si rigenerano sempre, nonostante le retate.

di Luciano Trapanese

La camorra viene anche definita sistema. E a ragione. Sistema di vita, economico. Con le sue leggi, il suo welfare. Consegna certezze, soldi. In qualche modo sicurezze.

Anche per questo – come ripetono i magistrati – ha la capacità di rigenerarsi, nonostante gli arresti.

Anche per questo – come invece ribadiscono gli investigatori -, non basta la repressione.

Anche per questo, sradicare la camorra (forse più ancora della 'ndrangheta), è impresa ai limiti dell'impossibile. E non bastano le forze dell'ordine. Non bastano gli appelli di Saviano, l'ottimismo di De Magistris, la triste consapevolezza che la malavita organizzata sia arrivata anche altrove, soprattutto al Nord (ma lì investe, qui ha radici profonde).

La maxi retata nel rione Traiano, con l'arresto di quasi cento persone, conferma un quadro noto, ma che spesso passa in secondo piano.

Migliaia di famiglie vivono grazie alla camorra. In vari modi, con compiti diversi. E in molti casi nella perfetta legalità.

Se una volta era il contrabbando di sigarette a sostenere tanti disoccupati (molti ricorderanno le rivendite in strada, sparse ovunque, anche di fronte ai tabacchini. Commercio per tanto tempo tollerato dalle forze dell'ordine), ora il business è la droga. Decisamente più criminale. Decisamente più lucroso. Al punto da alimentare nella metropoli campana una feroce guerra tra bande per il controllo delle piazze di spaccio.

Sono coinvolte intere famiglie, bambini compresi. Una parte consistente (per carità, non tutti gli abitanti), di tanti quartieri. Ricevono uno stipendio. E un aiuto se si finisce in carcere (una consuetudine avviata da Raffaele Cutolo ai tempi della Nco per fidelizzare gli affiliati).

Ci sono le banche, gli usurai. Che non solo prestano soldi, ma li ricevono anche, investendoli nei prestiti e restituendoli a tassi che i normali istituti di credito non possono neppure immaginare.

Senza dimenticare l'enorme industria del falso (con migliaia di addetti). E le attività regolari: imprese edili, centri commerciali, negozi (spesso di abbigliamento), ristoranti, pizzerie, locali notturni e così via.

Un buon pezzo del pil campano viene da queste attività di riciclaggio. E decine e decine di migliaia di posti di lavoro sono gestiti direttamente (le attività criminali), o indirettamente (le aziende che ripuliscono denaro sporco), dalla malavita organizzata.

Non è certo una novità. Ma proprio per questo sorprende sempre che quando si parla di camorra il discorso viene limitato alle paranze, alle stese e a qualche retata. C'è un mondo intorno che vive con i soldi del “sistema”.

Sistema frettolosamente definito anti Stato. Quando sarebbe preferibile chiamarlo para Stato, uno Stato nello Stato. Che oltre al crimine alimenta una sua economia, per molti versi parassitaria. E – sembra un paradosso -, consente a tanti (anche persone oneste), di vivere e costruirsi un futuro.

Ieri il contrabbando di sigarette. Oggi la droga. Che permette di avere più proventi e che quindi spinge i clan a finanziare anche attività legali.

La camorra sembra aver abbandonato a piccoli gruppi (spesso ancora più violenti), la gestione delle estorsioni (attività che oltre a rendere molto meno di altre, una fra tante l'usura, ha un indice di persone arrestate molto più alto).

Per scardinare tutto questo le retate possono essere utili, ma non saranno mai decisive. Così come la scuola – per tanti vista come una panacea -, non può fare molto. Si deve intervenire sulla forza economica dei clan, sostenere con un welfare legale quelle famiglie che non possono rivolgersi altrove. Ma non è semplice. E in questo momento quasi impossibile. Soprattutto se non cambia la prospettiva della lotta alla camorra. Se non si incide sulla sua reale forza attrattiva. Quella stessa forza che ne consente la rigenerazione nonostante gli arresti.