di Luciano Trapanese
Il web può anche ammazzare. Lo dimostra il suicidio di Tiziana, morta a 31 anni per le conseguenze della gogna mediatica scattata dopo la pubblicazione in rete di un suo video hard. Ma ci sono anche le storie di tante altre ragazze, che dopo aver interrotto la storia con un fidanzato, si sono ritrovate sul web quel video girato «tanto per divertirsi». O quelle minorenni – storia recentissima - che hanno ripreso la violenza subita da una “amica” in discoteca e invece di consegnare tutto ai carabinieri hanno condiviso le immagini su whatsapp. O, ancora, gli adolescenti suicidi perché finiti nel mirino di bulli e costantemente insultati, ripresi ed esposti sulla pubblica piazza virtuale. Le violenze ai disabili: con i video di quei pestaggi poi esibiti su internet. In rete sono finiti anche stupri di gruppo, girati e diffusi come fossero trofei da far veder e dei quali andare fieri.
Si potrebbe continuare ancora e ancora. In un corollario di dolore provocato dalla pubblicazione sui social di filmati che hanno una sola inevitabile conseguenza: la vergogna senza fine delle vittime. Già, vittime. Perché vittime diventano anche quelle persone che ai video hanno partecipato consapevolmente, ma che non avevano nessuna intenzione di farli vedere al mondo intero.
La privacy sbattuta in piazza. Alla mercé del giudizio altrui. Un giudizio espresso sui social e poi anche nella vita reale. Una gabbia di insulti che aveva spinto Tiziana a cambiare paese e avviare le pratiche per modificare il cognome. Come fosse una collaboratrice di giustizia nel mirino delle cosche mafiose.
E' la vera parte oscura del web. Altro che deep web. Una parte oscura che è esplosa insieme alla diffusione su scala mondiale dei social network. Internet negli anni '90 e agli inizi del duemila aveva concesso a tanti la possibilità di esprimersi – anche nei modi peggiori, a dire il vero -, garantendo, in molti casi, anche una sorta di libertà. Ora che il web, con l'esplosione dei social, diventa sempre di più – piaccia o meno – una specie di Grande Fratello, dove siamo monitorati costantemente, soprattutto come consumatori, e che l'espressione piazza virtuale, significa esattamente comunicare in piazza i fatti proprio o quelli altrui, ebbene ora, qualsiasi discorso relativo alla libertà viene meno. E soprattutto si annienta del tutto il concetto di privacy.
Non è né un bene, né un male. Ma è necessario attrezzarsi e utilizzare con cautela le infinite possibilità di comunicazione offerte dal web. Può essere uno strumento meraviglioso o devastante.
E' inutile anche imporre regole – anche perché alcuni reati sono già previsti dal codice penale, come la diffusione di materiale pornografico -. Serve soprattutto la maturità necessaria per maneggiare un mezzo che è davvero potente.
Anche sui social c'è da fare qualche considerazione. Facebook ha censurato una delle foto più importanti della storia e che racconta con una sola immagine la violenza e il dramma della guerra. Quella della bimba vietnamita che corre nuda per sfuggire alle bombe al napalm lanciate dai soldati americani. E poi si lasciano tranquillamente in rete dei post carichi di odio, pregiudizi, falsità.
Non è ancora chiara a tutti la potenza e il valore della rete. C'è chi pensa che esprimere un giudizio sul web abbia la stessa rilevanza di una frase pronunciata davanti al bar con gli amici. E invece, quelle parole arrivano potenzialmente a migliaia di persone. E' come girare con un megafono per ore in una città di medie proporzioni urlando a squarciagola il proprio pensiero. Che può anche offendere e creare danni ad altri. Molto, ma molto più di un articolo scritto su un giornale. Anche perché – e questo è l'altro dato – quelle parole su internet, rischiano di rimanere per sempre. Sul giornale si spengono inevitabilmente il giorno dopo.