Vignette, e se facevamo satira sui morti al Bataclan?

Ondata di indignazione. Ma questo non è tempo di satira. In Italia e altrove.

Una volta c'era “Il Male”. Ora il Vernacoliere. E non siamo mai stati tutti Charlie Hebdo.

di Luciano Trapanese

La satira non deve far ridere. Ma mettere in ridicolo, indignare. Soprattutto il potere, ma non solo. Non ci siamo più abituati. E la vignetta di Charlie Hebdo – comunque infelice - sul terremoto in Italia lo dimostra.

Voleva colpire i soliti noti che hanno provocato (costruendo male), il disastro, e che si sarebbero arricchiti (ricostruendo peggio), grazie alla tragedia. Ma non ha centrato l'obiettivo. E sollevato il mare di proteste che avete letto ovunque.

Un passo indietro: la satira non può non essere cattiva e irriverente. Non deve neppure strappare un sorriso (quello rientra nelle competenze delle comicità, ma qualche dotto politico italiano ha commentato: non fa ridere). Molti di voi ricorderanno “Il Male”, un settimanale satirico che ha spopolato in Italia sul finire degli anni '70. Non era irriverente. Era peggio. E una edizione su tre veniva irrimediabilmente sequestrata in edicola. Ci ricordiamo un numero, quello uscito dopo la scomparsa di Ugo La Malfa, uno dei protagonisti della prima Repubblica. Il titolo: E' morto tartarugone. Con una lunga serie di articoli cattivissimi dedicati allo statista del Pri. Nessuno si è indignato. La satira è satira. Ma erano anche altri tempi.

Ora siamo più “sensibili”, politicamente corretti. E diciamolo pure: questo non è il tempo della satira (eppure ne avremmo bisogno). Vignette su Maometto provocano una strage. Quelle su Gesù spingono il Papa a dire «meritano un pugno in faccia». E un settimanale come “Il Male” - nella versione anni '70 – verrebbe chiuso dopo due numeri. In Italia il massimo della satira è il Vernacoliere. Poi, stop.

Ma torniamo alla vignetta sul terremoto. A prescindere dalla nostra capacità di riconoscere e apprezzare la satira, c'è un punto oltre il quale forse la scelta dell'autore non poteva che suscitare rabbia: ha ironizzato su una una tragedia nazionale, lo ha fatto in modo banale (la mafia che tutto dirige), e non provocando alcun tipo di riflessione.

Sugli affaristi (non necessariamente mafiosi), che già contano di intascare i soldi della ricostruzione siamo abituati dai tempi del terremoto a L'Aquila (lo testimoniano le risate nelle intercettazioni telefoniche). Siamo certi che se i disegnatori francesi avessero rappresentato quei personaggi – faccendieri e politici -, davanti a un cumulo di macerie e con valigie piene di soldi, non ci sarebbe stato da ridire. E' stata invece la rappresentazione dei morti – vittime innocenti e non certo potenti – che ha provocato le reazioni. Quei morti sepolti dalle lasagne.

E' come se il giorno dopo la tragedia del Bataclan o di Nizza, un vignettista satirico italiano, per rappresentare le insufficienti misure di sicurezza francesi, piuttosto che disegnare Hollande in mutande, avesse infierito sulle vittime dei terroristi. Cosa sarebbe accaduto nella libertaria Francia?

Avrebbero invocato la libertà, appunto, d'opinione e di satira? O piuttosto si sarebbero incazzati di brutto, come un integralista di fronte alle vignette su Maometto?

Ma del resto, da noi è anche peggio: sono bastate le cosce della Boschi, disegnate su Il Fatto Quotidiano, per scatenare un'ondata di indignazione: «attacco sessista», e altre amenità.

La verità, come detto, è che questo non è il tempo della satira. In Italia più che altrove. E non siamo tutti Charlie Hebdo, non lo siamo più. Da un bel po' di anni. A prescindere dalla vignetta sul terremoto.