Rapinano, stuprano e tornano liberi. Di rapinare e stuprare...

Criminali seriali condannati e in libertà. Nessuna certezza della pena.

Il caso napoletano. La differenza con altri tribunali. Tutti i paradossi di una giustizia che non funziona.

di Luciano Trapanese

Si possono rapinare venti persone, essere catturati, condannati a otto anni, pena ridotta in appello a sei, e tornate liberi per rapinare ancora? Ebbene sì. Ma lo sapete già. Accade spesso. L'ultimo caso a Napoli. Proprio quello descritto. Il rapinatore in questione è stato catturato perché ritenuto responsabile di una rapina a due turisti russi. E rilasciato perché i tatuaggi non bastano a provare che è stato lui. Ok, va bene. Serve altro. Ma lo sconcerto è scoprire che il personaggio avrebbe dovuto stare altrove. In cella. E senza la possibilità di nuocere ancora.

Lo diciamo subito. Siamo garantisti. Si è innocenti fino a prova contraria e fino all'ultimo grado di giudizio. Il problema si pone quando anche l'ultimo grado di giudizio è stato pronunciato. Perché criminali seriali continuano a circolare liberi di fare quello che hanno sempre fatto? Perché concedere loro questo senso di impunità?

La questione, si dice, sono i benefici, che comportano riduzioni di pena, detenzione alternativa e così via beneficiando. Ora, nulla contro i benefici. Che sono un atto di giustizia, possono aiutare il reinserimento e rendere meno intollerabile la detenzione carceraria. Bene anche la detenzione alternativa, in istituti o ai domiciliari (serve anche a svuotare prigioni stracolme). Ma un criminale recidivo, evidentemente pericoloso per la comunità, uno che commette 20 rapine, perché dovrebbe evitare di trascorrere in cella la sua condanna?

Perché uno stupratore condannato a cinque anni dopo meno di un anno deve tornare a casa e commettere su un'altra donna – o sempre la stessa – l'identica violenza?

Il punto è la certezza della pena. Che è un tema centrale della giustizia italiana. E che dovrebbe essere garantita almeno per i reati di maggiore allarme sociale e per i criminali recidivi.

Il nodo in questa discussione è sempre lo stesso: accade perché ci sono dei magistrati troppo permissivi o perché le normative consentono queste discutibili decisioni? A rigor di logica ci sembra più vera la seconda ipotesi. Anche perché di fronte a una legislazione più netta e chiara sul fronte dei benefici non si potrebbe dare spazio a nessuna libera interpretazione. Un po' come per i reati seriali. Paradossalmente se uno commette venti rapine viene condannato a una pena solo di poco più pesante rispetto a chi ne ha commessa una. Un assurdo giuridico. E una palese ingiustizia. Che, oltretutto, ed è questo l'aspetto più grave, consente a criminali incalliti di agire quasi in regime di impunità.

Ed è proprio in questo quadro che la lotta alla cosiddetta microcriminalità diventa più difficile. In altri settori – pensiamo al contrasto alla malavita organizzata -, normative ben più stringenti (se scatta l'associazione mafiosa son dolori), i risultati delle forze dell'ordine sono sicuramente più importanti. E spesso definitivi.

Sulla certezza della pena il dibattito è aperto da anni. Se ne discute a sprazzi (solo, come al solito, quando accade qualche episodio grave). Ma alla fine tutto resta com'è. Nella più totale indeterminatezza. Anche perché, ed è un altro assurdo: chi viene arrestato a Napoli per rapina torna libero dopo pochi mesi. Se accade a Isernia, Benevento o Avellino, beh, spesso è un'altra storia. E finisce che un ladro sorpreso a rubare polli in Molise sconta una condanna più lunga rispetto a un criminale armato che ha seminato terrore nel centro di Napoli.

Vi sembra giusto?