Terrorismo Isis, possono colpire anche qui

Gli ultimi attentati hanno sgretolato certezze. I lupi solitari possono agire ovunque.

E l'intelligence o i presidi a obiettivi sensibili non garantiscono nessuna sicurezza. Il nemico non è solo a Daqqa. E' soprattutto qui. In tante periferie. In tante vite border line. Il rischio della fine di un'epoca. La nostra.

Attentati da noi? Nessuno li esclude. Anche se poi esperti e politici ripetono come un mantra: ma qui c'è una intelligence più preparata che altrove e stiamo già presidiando gli obiettivi sensibili. Una frase ripetuta in ogni occasione, forse per esorcizzare la paura collettiva, che c'è. Ed è inevitabile. Ma è una frase che non significa nulla.

Non sappiamo se la nostra intelligence è più efficace di quella tedesca o francese o statunitense. Abbiamo qualche dubbio. E soprattutto, la protezione dei luoghi sensibili non protegge alcunché, gli obiettivi del terrore sono diventati altri: la gente comune, in posti comuni (dal centro commerciale, alla strada affollata). Un qualsiasi assembramento di persone può essere un obiettivo. E un presidio in ogni dove è quanto meno improbabile.

Se poi ad agire è un “ragazzo tranquillo” (come il 18enne di Monaco), beh, allora non c'è intelligence che possa prevenire un attentato. Il nemico è tra noi. Silenzioso, imprevedibile. Assolutamente insospettabile.

L'Isis è riuscito nel suo intento. Inoculare in Europa un virus che sommato alla contingenza internazionale rischia di provocare la tempesta perfetta. Quella capace di disgregare l'Ue, e di mettere in discussione il nostro stile di vita.

Il terrorismo sommato alla grave crisi economica e all'esodo di immigrati da alcune zone del Medio Oriente e dell'Africa, restituisce un cocktail esplosivo. L'incapacità di affrontarlo rischia di minare alla base quel castello di certezze costruito passo dopo passo dalla fine della seconda guerra mondiale.

Crisi e immigrati sono la miccia che ha innescato in tutto il continente il poderoso ritorno del nazionalismo (la Brexit è figlia di questo sentimento). Sogno Europeo in frantumi, linea dura sull'immigrazione, contrasto all'Islam (anche moderato), scontro frontale con il terrorismo. Quattro posizioni oggi molto popolari. Ma quattro posizioni che fanno anche il gioco dell'Isis. Spaccare il mondo, tra musulmani (un miliardo e mezzo di persone), e cristiani (un altro miliardo e mezzo). E imporre una guerra di civiltà che oggi interessa solo a loro. Il Sud del mondo contro i Paesi ricchi. Lo scenario peggiore.

Il clima è questo. Un clima che – per restare all'attualità più vicina – ha portato all'incendio doloso appiccato al centro di accoglienza di Airola. Ma basta ascoltare i discorsi di tanti. Attentati, crisi e ondata migratoria rappresentano insieme una miscela altamente pericolosa. E che le scelte politiche (da Roma e Bruxelles), non riescono a disinnescare. Anzi, manca anche un barlume di soluzione. C'è un bla bla assordante e inconcludente. Che di fatto alimenta la stessa miscela.

Inutile girarci intorno. Tanti si chiedono: quando toccherà a noi? E se fino al Bataclan la convinzione prevalente era che i terroristi avrebbero agito solo nelle città simbolo (Roma, Parigi, Londra, Bruxelles e così via), ora questa certezza è svanita. I lupi solitari possono manifestarsi ovunque. Anche in provincia.

Una escalation senza “confini”, un terrore diffuso, rafforzerebbe di fatto il rifugio dei cittadini tra le braccia apparentemente rassicuranti del nazionalismo estremo e intransigente. La fine di un'epoca.

Sarebbe grave.

Sull'emergenza immigrazione è necessario un intervento. Scelte chiare sulla gestione dei flussi. Ma anche parole nette su quante persone si possono accogliere senza squilibrare l'intero sistema (i governi dei singoli Stati raggiungeranno mai un accordo?). Ma accogliere significa integrare, e non lasciare nei margini. Perché è proprio in quei margini, in quelle vite border line che spesso la propaganda Isis va a pescare (e le periferie di molte città sono polveriere).

Riguardo all'Isis, è ormai chiaro che il nemico non è a solo Daqqa, ma soprattutto qui. Tra le nostre strade. Ed è qui che bisogna intervenire. Non solo con le operazioni di polizia, ma anche capendo le ragioni di un malessere che trasforma immigrati anche di seconda o terza generazione in martiri della jihad. Non sarà semplice, anzi. Ma l'alternativa è certo peggiore.

di Luciano Trapanese