Acerra: Montefibre, in 120 ancora senza lavoro

L’ex polo chimico chiuse 21 anni fa: il calvario di operai “imbottiti” di sostanze inquinanti

acerra montefibre in 120 ancora senza lavoro

Vennero risarciti solo gli allevatori: le loro pecore pascolavano in un’area adiacente alla fabbrica

Vicenda Montefibre: ventuno anni dopo la chiusura dell’ex polo chimico acerrano (che nel corso degli anni ha solo provocato fame, morte, disperazione e disastro ambientale), centoventi ex lavoratori, giammai ricollocati nel mondo del lavoro nonostante gli impegni governativi, attendono inermi di conoscere il loro destino. Stanchi di ascoltare le solite false ed illusorie promesse, hanno dissotterrato l’ascia di guerra ed ora sono pronti a tornare in piazza, per fare sentire la loro voce di protesta. Per evitare ciò, i 120 ex dipendenti hanno scritto al Prefetto di Napoli, chiedendo un suo autorevole intervento per cercare di ricevere quelle risposte che attendono da anni.

«Con profondo rammarico - scrivono in una nota indirizzata al Prefetto - dopo tante richieste e dopo tanti anni, dobbiamo riscontrare che ad oggi non c’è stato nessun riscontro in merito alla nostra vertenza, che dura da 21 anni, questo diniego ci mortifica e ci fa capire che non vi è un’ombra di rispetto nei nostri confronti. Per tanto per l’ennesima volta e con determinazione, si chiede un intervento autorevole da parte del Prefetto affinché si possa avere un confronto con chi è preposto a tale risoluzione».

«Teniamo a precisare - concludono - che se non ci sarà una risposta a questa nostra ennesima richiesta, gli stessi sono pronti ad organizzare una protesta presso codesti uffici ». Insomma, un vero e proprio grido d’aiuto di gente che per lavorare si è ammalata di gravi patologie, che non sono state neppure riconosciute come tali dall’Inail, che giammai ha tenuto conto dello stato di fatto. Nel gennaio 2004, dopo l’ennesimo incidente rilevante avvenuto all’interno dello stabilimento di contrada Pagliarone, si scoprì che il polo chimico non aveva da 10 anni il certificato di prevenzione incendi.

Dinanzi a questa scoperta inquietante, il Comune (guidato all’epoca dal sindaco Michelangelo Riemma), passò all’attacco, diffidando l’azienda, già nell’occhio del ciclone, di mettersi in regola. Trascorso un mese, i vertici del polo industriale (che nel corso del tempo aveva ricevuto miliardi di lire in sovvenzioni a costo zero), annunciò l’avvio dei licenziamenti. Una manovra assurda che scatenò la falsa indignazione dei politici (locali, provinciali, regionali e nazionali), che non mossero un dito per evitare la chiusura del polo industriale, che nel frattempo fu smembrato ed i macchinari (acquistati con i soldi degli italiani e giammai restituiti) vennero venduti ad aziende asiatiche. Insomma uno scempio nello scempio.

Intanto i lavoratori del polo chimico iniziarono finalmente a frantumare il muro dell’omertà che negli anni aveva loro chiuso la bocca, denunciando la sovraesposizione alle sostanze inquinanti in uso all’interno dei diversi reparti, che dalla metà degli anni ’90, hanno provocato la decimazione del gregge di pecore, che “viveva” e pascolava, in modo stanziale, in un recinto prospiciente l’azienda chimica. Nel frattempo, gli allevatori sono stati “risarciti”, ma nessuno si è mai ricordato di fare lo stesso, laddove i lavoratori del polo chimico, morti certamente per il loro ininterrotto contatto con le sostanze inquinanti in uso nello stabilimento.