In una intervista di qualche giorno fa il professore Stefano Vicari, responsabile della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Bambino Gesù e ordinario all’Università Cattolica di Roma, ha dichiarato: “Nel 2023 le consulenze neuropsichiatriche effettuate al pronto soccorso del Bambino Gesù sono state complessivamente più di 1800. Nel 2013 erano circa 200. Ogni giorno almeno 4 tra bambini e ragazzi accedono in emergenza per problematiche mentali. I ricoveri nel reparto protetto di Neuropsichiatria, dove vengono gestiti i casi più complessi, sono stati 387”.
Il principale responsabile per questo dramnatico peggioramento delle condizioni mentali di questa insospettabile fascia di età, solo 10 anni fa ancora del tutto immune dalle contaminazioni psichiatriche di massa, secondo il medico romano, sarebbe da identificare nell'uso smodato (e incontrollato) dei social network da parte di giovani e giovanissimi.
La connessione non stop a smartphone, tablet o PC di marmocchi e teenager li avrebbe progressivamente spinti (neanche a forza) nel pozzo nero dell'alienazione e della solitudine, amplificando a dismisura le loro problematiche di ansia e/o depressione, assolutamente non proprie di questo tempo della loro vita. Con più di sei ore di frequentazione media giornaliera di device di ogni genere in una età in cui, secondo le linee guida internazionali delle più importanti società di neuropsichiatria, psicologia e pedagogia, non si dovrebbero superare i 30 minuti, siamo riusciti (noi adulti) a "donare" alla nostra progenie - per pura e semplice convenienza personale, per presunto libertarismo o, forse più propriamente, per noncuranza - una tempesta perfetta di follia, simulazione, inganno, spersonalizzazione, isolamento, confabulazione, scimmiottamento, adulterio, ignoranza e declino (morale, ma non solo), che solo fino a poco tempo fa non avremmo immaginato di vedere neanche nei nostri peggiori incubi.
Sonno frammentato, introversione spinta fino a una vera e propria esclusione sociale (hikikomori è il termine giapponese che connota questi adolescenti o giovani adulti, per lo più maschi, che staccano la spina dal mondo e si rifugiano giocoforza nei social o in ogni altra forma di "attivita" mediata dalla tecnologia), percorsi mentali immaginari o virtuali per giungere a realtà inesistenti, malattie ortopediche da malposture prolungate, disturbi della vista, disfunzioni neurologiche di ogni tipo, da quelle legate a inusuali e incalzanti ipereccitabilità bioelettriche cerebrali indotte proprio dalla esposizione continuata ai video (su tutte la cefalea e l'insonnia) a quelle da ingravescente perdita di benessere interiore e gratificazione emotiva, nuove tossicodipendenze, che spesso giungono all'osservazione medica tanto incancrenite e complesse da essere ormai diventate intrattabili, tassi di obesità divenuti oggettivamente sconcertanti e pregiudizievoli per il futuro di questi fanciulli, per finire con vere e proprie perdite di funzione motoria e cerebrale, e proprio nell'età in cui ci sarebbe più bisogno di benessere fisico e mentale per costruire l'uomo di domani.
Una catena di eventi patologici (non solo neuropsichiatrici) sta travolgendo i nostri figli e i nostri nipoti, mentre noi stiamo beatamente a guardare l'ineluttabile peggioramento della loro salute, ma - va detto - non senza partecipare, anzi, imitando, competendo, regredendo come e più di quelli che avremmo dovuto formare ed educare, innanzitutto con il nostro esempio.
Altro che aspettare l'avanzare dell'età per peggiorarci. Siamo stati capaci di costruire un modello di bambino/adolescente - perché di questo si tratta, visto lo stato di omologazione in cui i ragazzi di oggi versano - già disilluso e vecchio, una specie di raffigurazione nella vita reale del Benjamin Button cinematografico di Brad Pitt, l'uomo capovolto, quello dalla cronologia inversa, ma senza più alcuna possibilità di morire (come quello) innocente e puro.