Gerardo Casucci*
Imperversa il dibattito un po' scientifico e un po' no sui danni arrecati dall'alcol - quello presente in ordine crescente nella birra fino ad arrivare ai superalcolici - sulla salute umana.
È certo che aumenti in qualche modo, forse anche esponenziale, il rischio di tumori, soprattutto nelle donne e in particolare delle neoplasie maligne al seno (pure in assenza di familiarità), ma pare ci metta molto di suo anche in quelli delle vie digerenti, nelle malattie cardio e cerebrovascolari e nei danni cerebrali a medio e lungo termine, soprattutto associati a una riduzione progressiva della massa encefalica globale - massimamente dello spessore della corteccia cerebrale - con relativo grave nocumento alle funzioni cognitive, ma anche ai meccanismi di controllo delle pulsioni. Va aggiunto che una serie tutt'altro che insignificante di studi di grande rigore scientifico erano già risultati a favore di un uso quanto più moderato possibile delle sostanze che favoriscono l'ebbrezza per assicurarci una vita lunga e in buona salute.
Come stabilire il limite della "moderazione"
Resta da stabilire il limite della "moderazione" da applicare a un consumo divenuto ormai così diffuso ma anche così compiaciuto. Si passa dalla concessione di 1 o 2 unità alcoliche (quelle costituite da una birra, un bicchiere di vino o un bicchierino di superalcolico) a settimana delle linee guida canadesi del 2023, che pare non incrementino rischi di patologia di alcun genere, alle raccomandazioni solo di qualche anno fa (e ancora riprese da molte società scientifiche) di un consumo massimo per le donne di un'unità al giorno e per gli uomini di due. Oltre è ormai evidente che gli scenari cambiano, tanto più se l'assunzione settimanale avviene in "carichi" isolati (come, ad esempio, nel weekend). Tutti ne abbiamo o dovremmo averne contezza.
Desta, tuttavia, più di qualche perplessità che a guidare la nuova campagna referendaria italiana contro l'alcol e i suoi derivati (acetaldeide in primis) su giornali e televisioni vi siano i virologi e gli immunologi, quella categoria di medici assurti agli onori della gloria con l'avvento della covid-19 e da allora divenuti (ahimè) tuttologi assoluti di una declinante medicina più scenografica che responsiva alle molteplici (e spesso ignorate) esigenze sanitarie delle nostre comunità.
La teoria della professoressa Antonella Viola
La professoressa Antonella Viola, ad esempio, immunologa tarantina ormai di chiara fama, molto simpatica come divulgatrice di conoscenze mediche, lo è di gran lunga meno quando "si atteggia" - passatemi il termine tutto partenopeo - a moralizzatrice dei costumi italici (in questo caso alimentari, ma non solo) e, da fervente astemia, ci ricorda che "zero alcol" è meglio anche solo di poco.
Di tutta (pronta) risposta, il professor Matteo Bassetti, infettivologo à la page del San Martino di Genova, si è fatto ritrarre con tanto di calice di buon rosso d'annata - in Italia non mancano - quasi a sfidare la collega bacchettona e chiedere di non demonizzare un alimento ingerito e apprezzato da secoli, che assunto nelle "giuste" proporzioni tanto male (a suo dire) non fa. Gli ha dato ulteriore sponda il medico ed epidemiologo, ex direttore dell'Istituto dei Tumori di Milano, Franco Berrino, che ha chiesto di moderarne il consumo ma di non trasformarlo in un maleficio assoluto - pari addirittura all'amianto - tanto più in quelle patologie neurologiche dove i dati non sono né certi né definitivi. Nell'acceso dibattito tra innocentisti e colpevolisti, si è peró inserito (a gamba tesa) l'epatologo del San Martino di Genova, Gianni Testino, presidente della Società Italiana di Alcologia e coordinatore del Centro alcologico della regione Liguria, il quale, interpellato da Open, ha deciso di ribadire il punto di vista più ortodosso della scienza "per il rispetto del servizio che dobbiamo ai cittadini".
I danni causati dall'etanolo
A detta del luminare, astemio come la Viola, "le bevande alcoliche rappresentano la terza causa di morte e disabilità nella popolazione adulta e la prima causa di morte e distruzione al di sotto dei 24 anni per incidentalità stradale, violenza e intossicazione acuta, coma etilico. Numeri importanti. Ma c’è di più. Dal 2008 la comunità scientifica ha inserito nel gruppo 1 dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, e cioè nella lista di tutte le sostanze che hanno un rapporto causale certo con il cancro (in tutto 120), anche l’etanolo.
E cioè la sostanza alla base di tutti i prodotti alcolici: vino, birra, superalcolici. Una scelta che la scienza non prende sotto gamba: prima di inserire una sostanza in un elenco del genere ci pensa 30, 40 anni, proprio per il peso di quello che sta comunicando anche ai cittadini."
Ma ci sono altre cause del cancro
Ora, assodato che gli alcolici, qualunque sia la loro gradazione, bene non fanno - e la convinzione gioviale di mio nonno che "facesse sangue" era infondata oltre che incomprensibile - va detto che vi sono ben altre cause di patologie (il cancro su tutte) più diffuse e nocive, del tutto sottovalutate o nient'affatto contrastate. Vi annovero, oltre al ben noto e sufficientemente stigmatizzato fumo di sigaretta in tutte le sue declinazioni (anche quelle mascherate dalla tecnologia), l'inquinamento atmosferico (che, per dirne una, tanto ha pesato sul nostro sistema immunitario nella prima fase della covid-19 nel nord Italia), i pesticidi, le colture intensive, gli allevamenti "industriali", i processi di raffinazione degli alimenti, i cibi processati e, perfino, i cambiamenti climatici. Ancora, gli abusi di droghe e farmaci e - udite udite - il grande killer dei tempi moderni, lo zucchero.
Perfino il caffè non è esente da colpe (anche lì conterebbe la dose, come per ogni "veleno"). Per non parlare, infine. di sperequazioni e disagi sociali, sofferenze psichiche, povertà, solitudini e infelicità.
Quali studi scientifici quantizzeranno mai il loro rapporto diretto con malattie e morte? Se l'Irlanda ha voluto apporre avvertimenti terrorizzanti sulle etichette degli alcolici venduti sul suo territorio bene ha fatto. Altri paesi a buona ragione di certo la seguiranno. Ma nessuno potrà evitare a un prodotto della terra, da sempre usato per dare piacere e spensieratezza, ma anche per accompagnare degnamente un pasto (preferibilmente se non unicamente in compagnia), di essere simbolo di convivialità e benessere, quantomeno sociale. Non roba da poco in un'epoca segnata da emarginazioni e intolleranze. Tanto da spingere Fabrizio De Andrè a chiedere a un immaginario venditore di vino di un suo bellissimo album tratto dall'Antologia di Spoon River, "tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?". Poco, temo. Alla faccia delle evidenze scientifiche e di tutti gli astemi del mondo.
Dedica finale: "A Walter Mastroberardino, per i suoi 90 anni di amore (per il vino), di umiltà e di saggezza".
*neurologo - responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento