Ci sono storie che parlano ancora dopo decenni, raccontano ancora, emozionano ancora superando le diversità tra generazioni. Storie che spesso l’Italia dimentica, lascia che si impolverino, sperando che si perdano nelle pieghe della storia. Ma per fortuna queste sono storie forti, che tornano con prepotenza, che si raccontano di bocca in bocca, con i loro protagonisti che non trovano pace perché hanno ancora tanto da dire pure se qualcuno ha provato a farli tacere.
Il 9 maggio del 1978 mentre l’Italia scopriva il corpo di Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse e fatto trovare in una renault in via Caetani, la mafia faceva saltare in aria un giovane che aveva fatto della libertà di informazione la sua bandiera.
Peppino Impastato non aveva ancora 30 anni quando la notta tra l’8 e il 9 maggio viene ucciso e fatto saltare in aria con il tritolo. La sua morte inizialmente viene oscurata. Sulla stampa nazionale si parla del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. I giornali se citano la morte di Peppino a Cinisi parlano di un attentato finito male, di un suicidio.
Peppino invece è stato ucciso perché non ha chinato il capo, non è rimasto in silenzio, non ha chiuso gli occhi e con la sua radio libera “radio-out” ha messo a nudo la mafia nel suo paese, Cinisi, ha denunciato le connivenze con la politica a preso in giro senza paura il boss Tino Badalamenti. Nel 1978 Impastato è candidato al consiglio comunale di Cinisi con Democrazia Proletaria e prima di poter essere votato viene cancellato.
Salvo Vitale, giornalista e scrittore, amico e compagno di Peppino nel suo libro “I Cento passi ancora” scrive “andiamo sul posto del delitto. Una stradina molto stretta, delimitata da due muretti in pietra rotta, in contrada Feudo Siino-Orsa, una traversa della strada che costeggia il reticolato dell’aeroporto. Peppino, che guidava da cani e non aveva la patente, non avrebbe mai potuto entrare in quella stradina senza urtare con la macchina in qualche parte dei due muri. Una sorta di cordone protettivo di carabinieri, con i loro mezzi, ci impedisce di andare avanti. C’è un gran da fare dappertutto. Stanno ricostruendo il binario, divelto per circa mezzo metro e ricoprendo una buca sotto la massicciata. Sui fili della luce, tirati tra un palo e l’altro, si notano brandelli di carne penzolanti: qualche gazza va a beccarli. Il maresciallo di Cinisi si avvicina e ci dice di presentarci in caserma”.
I carabinieri provano a ricostruire in maniera controversa la vicenda dell’esecuzione di Peppino facendola passare come un attentato andato male. D’altronde è l’Italia dei misteri, delle stragi di Stato, delle messe in scena.
“Ormai la notizia ha fatto il giro del paese - scrive Vitale - anzi dei due paesi, Cinisi e Terrasini, proprio nel modo in cui l’avevano ideata e messa in pratica gli assassini : un attentato fallito. E, per colmo di raffinatezza, non si tratta di un treno qualsiasi, ma di quello che porta i lavoratori e gli studenti a Palermo: così è distrutta non solo la memoria, ma tutta l’attività politica di Peppino, che alla causa dei lavoratori e degli studenti aveva dedicato la vita”.
Peppino Impastato era un personaggio scomodo e non solo per la mafia. Chi dice la verità, chi non si piega e non si omologa, chi pretende di pensare è scomodo sempre. Proprio il PCI, infatti anche dopo la sua morte, non gli dà alcuna sponda, nessuna protezione neanche postuma. Nel suo libro l’amico di una vita racconta un episodio che fa capire anche la diffidenza che il Partito Comunista nutriva nei confronti di chi aveva il coraggio di pensare. Vitale racconta di una riunione nella sezione del PCI locale nella quale il segretario presenta questo comunicato per la morte di Peppino “In relazione alla morte del giovane Giuseppe Impastato, esponente della lista di Democrazia Proletaria, il PCI esprime il suo cordoglio per questa tragedia che ha scosso l’intero paese. La vicenda presenta tuttora pezzi oscuri e inquietanti, che impongono indagini rigorose ed attente, senza tralasciare alcun indizio, a cominciare dagli episodi di intimidazione che si erano precedentemente manifestati nei confronti del giovane scomparso. Nessuna ipotesi può essere esclusa, nessuna tesi sembra poter essere sinora scartata dagli investigatori…”
Peppino non è più un compagno ma solo un “giovane esponente di Democrazia Proletaria”, non si fa nessun riferimento alla mafia, non si esclude nessuna pista.
Alla fine uscirà un manifesto chiaro che prime sin da subito la virerà sulla morte di Peppino ma è di Democrazia Proletaria e nel quale si legge: "PEPPINO IMPASTATO È STATO ASSASSINATO. Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle “forze dell’ordine” per partorire l’assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così. L’omicidio ha un nome chiaro: MAFIA. Mentre ci stringiamo attorno al corpo straziato di Peppino, formuliamo una sola promessa: continuare la battaglia contro i suoi assassini”.
La storia di Peppino Impastato sarà riscoperta molti anni dopo e uscirà da un silenzio cupo grazie al fascino dell’azione, dei testi e delle idee di Peppino. Solo nel 2002 il boss Gaetano Badalamenti è stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato.