di Luciano Trapanese
Sono povero, non posso curarmi. Prima della grande crisi del 2008, era difficile ascoltare questa frase. Oggi è una consuetudine, che riguarda un numero sempre più consistente di persone. Soprattutto al Sud, soprattutto in Campania.
Vi abbiamo già raccontato della signora che non può permettersi esami specialistici per un sospetto tumore. E anche de tanti genitori che rinunciano a interventi di ortodonzia per sistemare i denti dei figli. Ma non c' solo questo, purtroppo.
L'Istat ha fotografato lo stato di salute del nostro Paese (qui l'intero documento). Ed è frammentato. Spaccato tra classi sociali sempre più distanti. Diviso tra Nord e Sud. Un Paese malato, che non riesce a uscire dalla crisi. E proprio la crisi mette a rischio l'equilibrio sociale. Con una crescita costante delle famiglie a basso reddito, in particolare nel Mezzogiorno.
Una situazione generale cristallizzata: chi è povero resta povero. La mobilità è finita da un pezzo. E quella mobilità, l'ascensore sociale, è stata per anni la molla che ha reso possibile la crescita della nostra nazione.
Qualche dato. La quota di persone che ha rinunciato a una visita specialistica, perché troppo costosa, è cresciuta dal 2008 al 2016 dal 4 al 6,5 per cento della popolazione. Al Sud – ne dubitavate? – il fenomeno è più accentuato: si è passati dal 6,6 al 10 per cento. Una persona su dieci rinuncia alle cure. E con il disastro sanità in Campania la percentuale – che in alcune zone è decisamente più alta – potrebbe crescere ancora.
Ma le disuguaglianze sulla salute non si fermano qui: tre quarti delle persone che fanno parte della cosiddetta “classe dirigente” si dichiara in buone condizioni. La stessa cosa la dice solo il 60 per cento dei giovani disoccupati. Leggete bene: giovani.
Obesità. Tra gli uomini uno su due è in eccesso di peso. Le donne una su tre. L'incremento dell'obesità è cresciuto dal 2008 soprattutto nelle famiglie a basso reddito (dal 39,8 al 46,2 per cento), e nella famiglie tradizionali della provincia (da 44,2 al 48,3). Per la classe dirigente si registra invece un calo: dal 35,8 al 34,9. E il peso, sapete bene, è un indicatore importante per stabilire la qualità del cibo ingerito e gli stili di vita.
Controlli medici. La classe dirigente si colloca al primo posto per i controlli di colesterolo e glicemia (46,9 e 50,2% rispettivamente). All’estremo opposto per frequenza di controlli si posizionano le famiglie a basso reddito (39,5% per la pressione e circa 31% per colesterolo e glicemia).
Tumori femminili. Le donne delle famiglie a basso reddito, e quelle con stranieri, e del gruppo anziane sole e giovani disoccupati svolgono meno controlli per la prevenzione dei tumori femminili rispetto alla media; all’opposto si trovano le donne dei gruppi ad alto reddito.
Tempo libero. Naturalmente la classe dirigente ha più tempo libero, pratica più sport, guarda meno la tv, legge più libri è molto più attiva in associazioni e nella vita politica. Questo potrebbe anche essere scontato. Il problema è che la forbice si allarga in modo costante. E le classi meno abbienti, (famiglie a basso reddito, con o senza stranieri; famiglie tradizionali della provincia: giovani blue collar - che vivono ancora in famiglia - ; famiglie di impiegati e piccola borghesia), perdono costantemente posizione. Reggono solo i cosiddetti “pensionati d'argento” (quelli che usufruiscono del retributivo), che hanno un reddito stabile.
Un Paese diviso. L'Istat individua nove classi sociali. Ma l'abisso è tra la classe dirigente e tutte le altre. Con il dramma delle “famiglie a basso reddito”, dei disoccupati, dei giovani “blue collar”. Un tempo – con altre visioni – sarebbero state definite proletariato. Quello che una volta era costituito in larga parte da operai (che dopo il crack del 2008 sono invece da considerare classe media).
La recessione dura da nove anni. Gli effetti sono stati e continuano a essere devastanti. Mario Draghi, presidente della Bce, ha dichiarato nei giorni scorsi che l'Europa ha superato la crisi. Sarà vero. Ma non per l'Italia. E la fotografia dell'Istat lo conferma. Ancora una volta.