di Luciano Trapanese
Si parla tanto di immigrazione ma poche parole vengono pronunciate sulla tratta delle schiave. C'è un imbarazzato silenzio su quelle migliaia di donne – e bambine - che ogni anno arrivano in Italia e sono costrette a vendersi. Restano fantasmi. Corpi senza nome. Ma con un prezzo. Si materializzano solo sul ciglio delle strade. Alimentano un affare da miliardi di euro. Forniscono denaro fresco a cartelli criminali. E la loro sorte non interessa a nessuno. Tantomeno alla legge.
Fuori da qualsiasi dibattito politico. Fuori da ogni discussione. A volte diventano un problema di “decoro urbano”, come fossero rifiuti o giardini incolti. Per il resto, zero. Come quasi zero sono le inchieste su chi le fa arrivare in Italia, le violenta, le sfrutta.
Forse svolgono un “servizio”. Sono funzionali alle esigenze sessuali di tanti italiani. Probabilmente per questo anche i più decisi gruppi anti immigrazione parlano poco di loro. In fondo servono.
Che siano schiave poco importa. Non si dovrebbe neppure chiamarle prostitute. Ma vittime. O – come ha dichiarato Oria Gargano, fondatrice e presidente di BeFree, una cooperativa sociale contro tratta, violenza e discriminazioni -, “prostituite”.
In Italia il fenomeno è così enorme che ha interessato anche la stampa internazionale. Il Financial Times e il Guardian in particolare. Il primo – soprattutto – si è occupato della tratta di ragazze nigeriane. Migliaia di giovanissime che approdano ogni anno in Italia. Sotto ricatto, con un debito da 40/50mila euro. Che dovranno ripagare prostituendosi. Ovvero: sette anni di strada. E dopo, non sapendo fare altro e continuando a vivere da clandestine in un Paese straniero, non hanno altra scelta: continuano a vendersi.
La Campania è uno dei centri nevralgici della tratta. Un po' come le altre regioni dove la criminalità organizzata è forte. Ma mafia (soprattutto), 'ndrangheta e camorra, non gestiscono direttamente il business. Si “accontentano” di ricevere dividendi per averlo consentito sul loro territorio. L'affare è nelle mani dalla mafia russa – per il traffico -, e di bande di albanesi, rumeni e ucraini, per le ragazze dell'Est.
Le nigeriane sono sfruttate dalla malavita di Benin City. E anche i cinesi gestiscono da soli le connazionali arrivate in Italia (che si vendono in appartamenti o centri massaggio, sono più mature e restano il tempo indispensabile per mettere da parte un po' di soldi).
Lo sfruttamento della prostituzione è la base di partenza per altri business criminali. Bastano dei dati. Nella prostituzione di strada sono coinvolte ogni anno 30mila donne straniere. Se lavorano cinque sere a settimana, guadagnando ogni giorno 150 euro (da 20 a 50 euro a prestazione), il giro d'affari è di oltre un miliardo e duecento milioni (e parliamo solo della “strada”, il grosso del business è in casa o via web).
Parte di quella cifra verrà reinvestita nell'affare degli stupefacenti (dove il coinvolgimento della criminalità organizzata è rilevantissimo). Da novecento milioni si passa a più di cento miliardi. Un business colossale. Che parte dalle schiave e finisce nelle vene o nelle narici di tanti consumatori.
Un tumore pieno di soldi all'interno del nostro Paese, alimentato solo dai vizi degli italiani.
Forse per questo si preferisce parlarne poco.
Ogni anno in Italia arrivano 3mila ragazze nigeriane da avviare al marciapiede. Vengono reclutate nelle zone più povere del loro Paese. Sono quasi tutte analfabete. Spesso sono le famiglie a venderle ai trafficanti. Prima del viaggio – che comporta la stessa rotta e gli stessi rischi dell'immigrazione africana con l'approdo in Libia -, vengono sottoposte a un rito di iniziazione in stile voodo. Le ragazze, alcune minorenni, accumulano il debito proprio per arrivare in Italia. E già durante il tragitto subiscono violenze, anche sessuali.
Nel nostro Paese non saranno riconosciute né come profughe, né come rifugiate. E quelle poche che tentano di sottrarsi agli sfruttatori trovano porte chiuse da una normativa che promette di aiutarle solo se forniscono alle autorità i nomi delle persone che le hanno costrette a vendersi. Scelta difficile, anche perché in quel caso le ritorsioni sono tutte a carico dei familiari in Nigeria.
Così racconta Faith, una giovane nigeriana a “Le ragazze di Benin”: «Alcune mie amiche sono andate in una comunità e hanno fatto la denuncia per avere documenti, ma io dico che queste cose non si devono fare: perché mettere in pericolo se stesse e la famiglia? Nessuno ci aiuta davvero, e quando fai la denuncia resti sola. Se poi impari un lavoro, comunque non trovi lavoro davvero, perché pochi danno lavoro a una nera clandestina».
Per la tratta delle ragazze dell'Est lo snodo cruciale è Mosca. La capitale russa è il centro di tutti i traffici, quelli che arrivano dall'Asia, dal Medio Oriente (drammatica anche la situazione delle donne siriane), e dai Paesi che erano nell'orbita della vecchia Unione Sovietica. Un gradino sotto le bande criminali rumene, albanesi e ucraine, che sono le più operative per la tratta in Italia.
Le ragazze dell'Est che battono i nostri marciapiedi, provengono dalle zone rurali della Romania, dell'Ucraina e della Moldavia. Spesso si legano a un personaggio che promette una vita di agi (o almeno dignitosa), in Italia. Ma una volta arrivate nel nostro Paese, tutto cambia.
La stessa storia di Alina Roxana Ripa e Mariana Tudor, ammazzate brutalmente a Salerno. Dopo più di un anno di indagini il loro assassino (o assassini), è ancora in libertà. Nel frattempo proprio dove sono state trovate morte, altre giovanissime connazionali continuano a vendersi. Come niente fosse. Come migliaia di altri fantasmi. Schiave in una notte perenne che non ha né tetto, né legge.