Se divento un malato terminale, vi prego: lasciatemi morire

Dopo il caso di dj Fabo. Il 13 si discute il testamento biologico.

La sorte di centinaia di italiani “emigrati” in Svizzera per morire. Le scelte ipocrite della politica, che si nasconde dietro il comprensibile “no” della Chiesa

di Luciano Trapanese

Ne ho sentiti tanti, in questi giorni, parlare anche nei bar: «Se mi ritrovo malato, senza speranze, sofferente e costretto a letto, vorrei che mi lasciassero morire». Tra il dire e il fare c'è di mezzo la vita. Ma quel tipo di “sentimento” è diffuso. Molto.

Il “fine vita” diventa argomento in Italia solo quando si verificano dei “casi”. E' stato così per Eluana Englaro, per Piergiorgio Welby e – in questi giorni – per dj Fabo.

Ma che nel frattempo centinaia di italiani ogni anno e per anni siano andati in Svizzera a chiudere con dignità un'esistenza agli sgoccioli e piena di sofferenze, beh, questo è passato e passa in secondo piano.

Italiani che hanno pagato 10mila euro a testa per l'iniezione letale (più le spese di viaggio e soggiorno). Il che lascia intendere che tanti altri avrebbero voluto farlo. Ma ci hanno rinunciato, per ragioni logistiche (il viaggio in Svizzera), o economiche.

Il 13 marzo la legge per il testamento biologico (che non è né eutanasia, né suicidio assistito, ma consegna ai pazienti una sorta di libera scelta quando le condizioni di salute sono ormai disperate), approda dopo anni alla Camera. Si tratterebbe di un piccolissimo passo avanti. Ma anche quel passo è stato a oggi continuamente rinviato.

Le gerarchie cattoliche hanno avuto un ruolo importante in questo ritardo. Ma la colpa è tutta della politica. Chi non ricorda la famosa frase di Berlusconi sulla Englaro (da anni in coma irreversibile, con conseguenze devastanti sul corpo): «Potrebbe ancora avere figli». Le spocchiose affermazioni ultra integraliste di personaggi come Roccella, Binetti, Giovanardi e Gasparri. E tutto questo mentre larga parte dei fedeli ha sull'argomento una visione molto più aperta, tollerante. Umana.

Del resto sono stati i progressi della medicina a imporre una riflessione sull'eutanasia o sul suicidio assistito. E prima ancora sull'accanimento terapeutico.

Come tutti i temi etici la questione è delicata. E turba sensibilità e coscienze. Ma ignorarla, come è stato fatto, e per il semplice motivo di non avere gli strumenti anche dialettici per affrontarla, per l'incapacità conclamata di spiegare le eventuali scelte ai cittadini, segnala come al solito i limiti di una classe dirigente che non riesce ad andare oltre l'ovvio. E che ha trovato – anche su temi simili - spesso un comodo riparo dietro la dogmatica opposizione dell'episcopato (che fa il suo mestiere).

Il suicidio assistito in Svizzera è stato sottoposto a referendum. L'ottanta per cento dei cittadini l'ha approvato. E la campagna elettorale che ha preceduto il voto non è stata alimentata da slogan, urla, strepiti e richiami al Signore o minacce sataniste.

Un tema complesso, affrontato con la giusta discrezione. Da posizioni diverse, a volte contrapposte, ma senza le volgari esibizioni che contraddistinguono i nostri stravecchi talk show politici.

Ma del resto in Italia è stato un tema controverso anche la semplice terapia del dolore. L'uso della morfina è stato autorizzato per malati terminali ed estremamente sofferenti solo da qualche anno.

Il dibattito sull'eutanasia (praticata in molti Paesi europei), o il suicidio assistito non è mai diventato davvero un tema politico. S'è scelta la via di mezzo (un po' né carne né pesce), del testamento biologico. Ma anche su questa mediazione i presunti cattolici oltranzisti hanno fatto le barricate in Parlamento.

Ora il 13 se ne riparla alla Camera. Anche sull'onda della vicenda di dj Fabo e delle sue ultime parole: un atto d'accusa verso il suo Paese.

L'auspicio è che forze politiche spesso contrapposte possano trovare – almeno su temi etici – un punto d'intesa e sollevare l'Italia dalle paludi medievali che dimezzano tante nostre libere scelte.