di Luciano Trapanese
Potrebbe essere l'ultimo giorno del lupo. Almeno in Italia.
Sarà decisivo il voto – previsto domani - di Regioni e presidenti delle Province autonome. All'ordine del giorno, infatti, la cancellazione del lupo dalla lista delle specie protette. E quindi: caccia aperta a un animale in via d'estinzione. Di fatto fine all'impegno che tanti hanno profuso in questi decenni per salvare uno degli animali simbolo dei nostri Appennini.
La caccia indiscriminata ne segnerebbe l'inesorabile fine.
«Si tratta – hanno dichiarato le associazioni ambientaliste - di una prospettiva gravissima, tecnicamente inefficace ed eticamente inaccettabile. Istituire la caccia al lupo rischia di rimettere in discussione lo stato di conservazione del lupo in Italia. Anche attraversi un indiretto la probabilissimo incentivo agli atti di bracconaggio contro la specie».
I motivi del “no” avanzati in maniera compatta dal fronte ambientalista sono molteplici, e così sintetizzabili: non esistono dati precisi e attendibili sulla popolazione dei lupi in Italia. Lo stato di conservazione della specie potrebbe essere gravemente compromesso. Non sono possibili abbattimenti preventivi e in questo caso gli effetti sono sempre imprevedibili. Non diminuirebbero gli effetti predatori. La decisione della della Conferenza Stato Regioni potrebbe inevitabilmente comportare una maggiore tolleranza verso atti di bracconaggio e giustizia privata.
Le associazioni ambientaliste (Lndc, Enpa, Lac, Lav, Legambiente e Lipu), hanno inviato un accorato appello al premier Gentiloni.
Le stime – sempre molto approssimative – parlano di 1600, 1900 lupi sui nostri Appennini (un centinaio in Campania). Non tanti, quindi.
E allora, perché si vuole riaprire la caccia?
Semplice, sarebbero aumentati gli attacchi alle greggi. Causando apprensione e danni agli allevatori (mentre gli agricoltori sono alle prese con l'emergenza cinghiali, quella numericamente molto più rilevante).
Non sarebbe più opportuno aiutare gli allevatori (nel risarcimento degli animali uccisi, ma anche nella prevenzione agli attacchi), piuttosto che decidere di annientare una specie storica, e che è anche il simbolo delle nostre montagne?
Nel 1971, prima che si decidesse di inserire il lupo tra le specie protette, erano rimasti in Italia poche decine di esemplari. Quarantasei anni di duro lavoro hanno consentito di scongiurare l'estinzione.
Oltretutto se l'Italia è da considerare una delle nazioni europee dove vivono più lupi è anche per un altro motivo: i boschi nel dopoguerra occupavano solo il 18 per cento della superficie del Paese. Ora quella cifra è arrivata al 40, anche grazie all'abbandono dell'agricoltura e della pastorizia.
Ma i lupi si cibano solo di pecore o animali da allevamento?
Certo che no. Anzi. Rappresentano solo il 5, 10 per cento della loro dieta. Preferiscono – e di molto – cibarsi di cinghiali, caprioli e cervi (che trovano in abbondanza).
Molti si chiedono se sono pericolosi per l'uomo.
L'ultimo caso di lupi che aggrediscono un uomo risale al 1800. Non proprio l'anno scorso...
C'è infine un altro dato. Tanti raid negli allevamenti sono stati attribuiti ai lupi (in questo caso gli allevatori ottengono un seppur minimo risarcimento), ma non si esclude che ad agire siano stati anche branchi di cani allo stato brado. E i cani – in quel caso – potrebbero essere per l'uomo molto più pericolosi dei lupi (pensate a un branco di pit bull cresciuti in montagna...).
Eppure, nonostante tutto, domani si potrebbe decidere di riaprire la caccia al lupo.
Sconcertante.