di Pasquale Cuomo*
Questa storia è una storia di coraggio. Questa storia è una storia di perseveranza. Questa è una storia da leggere con comprensione, con dolcezza. Questa è la storia di Maria e Rossella e della loro famiglia.
La storia di una bambina autistica e del difficile e lungo percorso fatto per il suo bene. Questa, quindi, è anche una storia di speranza.
Maria mi accoglie in casa sua con una dolcezza e un sorriso disarmanti. Percorro il lungo corridoio che dall’ingresso mi porta in cucina, lì, seduta, c’è Rossella, Rossellina. Ha dieci anni. Mi sorride e con voce gentile mi chiede di vedere i suoi animaletti: un pappagallo, una tartaruga e due pesciolini. Più tardi Maria, la madre, mi spiegherà che anche quegli animali fanno parte della terapia, del benessere di Rossellina. Scambiati i convenevoli e congedati gli animaletti di Rossellina io e Maria ci dirigiamo in un’altra stanza.
Bastano quattro parole e Maria diventa un fiume in piena. «Raccontami la vostra storia», le dico e lei racconta.
«Rossella è nata dopo una gravidanza e un parto assolutamente normali, tranquilli – mi dice –. Era una bambina speciale, sveglia. Sempre alla ricerca di un contatto con gli altri. Poi a un anno e mezzo tutto è cambiato».
Il cambiamento è arrivato dopo un vaccino, uno di quelli che si fanno in tenera età per essere protetti da malattie come rosolia, morbillo, e così via. Vaccino a cui erano state sottoposte anche le sorelle maggiori di Rossella e che non aveva creato alcun danno.
«Da quel momento Rossella non era più lei. Avevo una bambina, poi all’improvviso era diventata un’altra. La bambina che cercava un contatto con gli altri ora era sempre aggrappata al mio collo, persino il campanello la infastidiva.» Guardando e ascoltando Maria resto sorpreso dalla luce che ha negli occhi, dalla tranquillità e dalla fermezza della sua voce. Ho difronte a me una donna tenace, consapevole, e che nonostante abbia cominciato una lotta ad armi impari è ancora sul campo di battaglia. Mi racconta delle tante visite che ha fatto fare a Rossellina, tutte le visite che ha fatto fare a sua figlia e mi dice: «Noi genitori non abbiamo delle vere e proprie strade da percorrere, mi spinge a cercarne sempre di nuove il voler trovare per forza qualcosa che fa bene alla mia bambina. Questa è la strada da seguire. Yoga, musicoterapia. Filosofia per bambini. Qualunque cosa. Anche se recepirà il 5 per cento di quello che fa è pur sempre un 5 per cento in più».
Il suo racconto prosegue. Mi parla di quando andò per la prima volta dalla pediatra per spiegarle ciò che era successo a sua figlia, del cambiamento che era avvenuto e per tranquillizzarla le fu consigliata una visita da un neuro-psichiatra infantile.
«Attribuisco una sola colpa a quel dottore – mi dice -: il non essere stato chiaro con me. Lui aveva capito la situazione ma non mi ha detto la fatidica parola autismo. Se così fosse stato mi sarei mossa diversamente.»
Su un foglio le venne scritto “goffaggine motoria”, “ritardo cognitivo” e di fare logopedia e psicomotricità e alle domande non seguivano risposte chiare. In tutto ciò bisognava fare i conti con la realtà: qualcosa non andava e la cosa era difficile da accettare. Su questa parola Maria si ferma.
«L’accettazione è importante. L’accettazione è il primo muro da superare e devono farlo i genitori, solo loro possono aiutare i loro figli. A oggi ci sono ancora persone che liquidano l’autismo come una fase passeggera della vita dei figli e lì non si può più aiutare nessuno.»
Maria continua il suo racconto, la sua seconda visita, tutto alla cieca, tutto brancolando nel buio, cercando di capire e ancora una volta non si riesce a cavare un ragno dal buco.
«Sua figlia è una bella stronza, non è autistica, è solo il suo carattere», mi riferisce le parole del medico che malgrado tutto la sollevarono. «Nonostante tutto è confortante sentirsi dire che tua figlia non è autistica. Quello stesso pomeriggio però ho impiegato tre ore per far salire Rossellina in macchina. Non voleva staccarsi da me. Una bambina di due anni era così ingestibile da non riuscire a metterla in macchina».
Le cose non prendevano una piega migliore, non volevano saperne di prendere una piega migliore e Maria mi racconta di un’altra sue esperienza, un altro suo tentativo che ha definito “Due anni persi”.
Due anni in cui ogni giorno si recava a Salerno, in un centro, con psicologi e neuropsichiatri per seguire una terapia, ma non una terapia per l’autismo. Ci vorranno ancora due anni, arrivati a questo punto della storia, perché finalmente qualcuno dica a Maria come le cose stanno effettivamente.
A Salerno le dicono: «Il disagio di sua figlia è dovuto a lei. Lei psicologicamente crede di non aver partorito sua figlia», e questa era anche la risposta alla domanda: «Mia figlia è autistica?»
La svolta. L’asilo. «E una maestra che sembra un angelo». Come in una favola, nel momento di massima difficoltà, apparve una fata che per lavoro faceva la maestra d’asilo. Il destino, il caso, qualunque cosa esso sia ha fatto sì che Maria avesse la diagnosi esatta. Il caso e la maestra d’asilo che tramite il suo medico di fiducia le aveva fornito il numero di un neuro-psichiatra e luminare nel campo dell’autismo.
«Vostra figlia è autistica. Se non le fate fare la giusta terapia a 10 anni sarà completamente handicappata.»
Secco. Perentorio, duro. Così si rivolse il medico a Maria e a suo marito, ma finalmente era stata fatta chiarezza. La vera storia inizia qui. Finalmente Maria e la sua famiglia riescono a vedere qualcosa e la loro guida è il dottor Amendola, il loro neuro-psichiatra.
«Quando senti una diagnosi del genere piombi in un abisso, non sai cosa fare se non sei guidata da qualcuno di competente ed io aspettavo i colloqui con il dottore come un carcerato aspetta l’ora d’aria.»
Inizia la terapia, quella giusta. Non c’è bisogno di andare a Salerno, la clinica è nella provincia di Avellino e finalmente le cose iniziano a cambiare. Alla terapia partecipa tutta la famiglia. Maria mi spiega che è importante anche per le sorelle di Rossella capire le cose come vanno, essere coinvolte. Rossella smette di essere «un neonato nel corpo di un bambino» e inizia la sua risalita. La clinica è solo il primo passo. Non c’è solo la provincia di Avellino per far aiutare Rossella. Pisa. Roma. Napoli. Ancora Salerno e le Marche. Chilometri e chilometri macinati per combattere un fantasma, uno spettro, che prima non aveva un nome.
«Non ci siamo fermati – continua Maria - a Pisa, allo “Stella Maris” siamo stati in un centro specializzato dove ci hanno diagnosticato un autismo grave. Questo è servito per ottenere il sostegno alle scuole elementari. La scuola è fondamentale. Poi è stata la volta di Roma. A Roma all’ospedale del Bambin Gesù abbiamo scoperto il metodo Aba (Applied Behavioral Analysis), basato su terapie cognitive comportamentali. Poi abbiamo continuato a Salerno, in un convento, perché non c’erano i fondi. Qui abbiamo trovato un altro angelo, che per 13 mesi ha seguito Rossella. E’ stato in questi 13 mesi che Rossella ha iniziato davvero a stare bene.»
A oggi Rossella legge, scrive, si siede in maniera composta e ha addirittura scoperto cos’è l’umorismo che per gli autistici è un assoluto miraggio. Le vicende sono finite qui, l’ultima tappa fino ad ora è stato il metodo Aba ma Maria non ha voglia di fermarsi, né per sua figlia, né per gli altri bambini. Mi spiega qual è l’iter per accedere al metodo Aba, le mille difficoltà.
Questo metodo, mi ha spiegato, non è una consuetudine in Italia, ma solo in poche regioni e i costi sono davvero onerosi per le famiglie.
«Ho dovuto martellare l’Asl per essere aiutata e creare un precedente nel sistema campano, con la speranza che venga reso gratuito ma soprattutto che diventi accessibile in tutte le regioni, questo ancora non avviene nonostante dal 2001 si discute sui grandi benefici che porta».
Sentiamo bussare. E’ Rossella, ci guarda: ha gli occhi neri, un po’ più scuri rispetto a quelli della madre. Sorride furbescamente e poi con voce innocente dice “scusate” mentre sgattaiola via. Mi si scioglie il nodo che mi si era creato nel petto ascoltando tutta questa storia. Maria sorride a sua volta.
«Mi rendo conto che è andato tutto come doveva andare. Certo la strada è sempre in salita, magari non riesce ancora ad elaborare un pensiero complesso o scrivere una frase molto lunga. Ma se penso che non avrebbe né dovuto saper leggere, né scrivere questo è già molto.»
E’ una donna forte, glielo dico e lei mi sorprende ancora.
«Tanti mi dicono che sono stata forte, ma a darmi forza è stata Rossella e sono state le belle persone che ho incontrato. Ti voglio lasciare con un aneddoto – mi dice -. Era il primo giorno di scuola della quarta elementare. Rossella detesta fare i compiti e non aveva finito i compiti per le vacanze. Aveva intenzione di fare uno scherzo alla maestra dicendole una bugia, dicendole che li aveva fatti tutti, quando le feci notare che la maestra avrebbe potuto controllare il quaderno e scoprirla lei semplicemente mi disse: okay. Ai avvicinò alla maestra e le disse: maestra, io i compiti delle vacanze li ho finiti…con l’immaginazione. In quel momento non aveva niente di autistico.»
*(studente del Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola lavoro)