Ho diciotto anni e sono già morto

L'amaro sfogo di un ragazzo. E una conclusione: sono morto ma respiro.

Ma non respirerò qui, perché da qui si scappa, non si parte. Aiutatemi almeno a partire, non costringetemi a scappare...

Io sono già morto. Io, forse, non ho nemmeno iniziato a vivere. Io non ho mai aperto gli occhi.
Io sono io, un io qualunque. Statura media, naso nella norma, occhi castani, espressione neutra. Potrei non esistere, potrei addirittura essere qualcun altro. Io forse non sono nemmeno io.
Osservo lo scorrere del tempo e delle cose senza mai far parte di queste, senza curarmene troppo. La verità è che dove sono io le cose non cambiano e il tempo è incerto, indeciso: timoroso non sa se scorrere o restare cristallizzato in uno stato amorfo e a me resta solo l’apatia. Il senso del nulla.
Agli altri la gioia, l’azione, l’orgoglio. A me un velo che carezza una statuaria malinconia. Io sono un giovane e sono già morto, una morte violenta, efferata manifestatasi sotto l’indifferenza generale, ad ammazzarmi non è stato un essere umano.

Mi hanno ammazzato i silenzi annoiati. Mi hanno ammazzato gli spazi inesistenti. Mi hanno ammazzato i borghi simili a sobborghi senza nulla da offrire.

Mi ha ammazzato una bellezza che ha abbandonato tutto e tutti e alcuni ancora la inseguono, riempendosene la bocca. Mi ha ammazzato la ripetitività e la mia incapacità di porle un freno, la mancanza dei mezzi necessari.
Io sono un ragazzo che abita in un luogo che stenta a farlo sentire a casa, che non allarga le braccia: si limita ad alzarle stancamente. La normalità è così pesante da essere diventata monotonia e nessuna novità potrà mai sconvolgerla. Disabituati al nuovo si resta ancorati ai vecchi meccanismi. Vecchi i politici. Vecchie le idee o in costante ritardo e stanco di rincorrere mi sono fermato.
“Dormono dormono sulle colline” diceva una canzone per indicare i morti e le loro storie particolari e su queste colline si dorme ormai da tempo: a loro la colpa di non essere né cattive né buone, ma quella di essere ordinarie.
E’ facile per chi ha rinunciato ad agire dire queste cose. E’ facile lavare le proprie mani usando l’autocommiserazione al posto dell’acqua, ma quello che volevo dire è che io sono già morto e nonostante tutto traggo un profondo respiro. Dico ciò perché nonostante sia morto ho tanti respiri ancora da fare e non sarà qui che li farò, questo è quello che accade, perché da qui si scappa. Non si parte, si scappa. Dico ciò per essere aiutato a partire e non costretto a scappare.

Pasquale Cuomo

(studente del Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro)