di Luciano Trapanese
Bisognerebbe andarci in un ristorante sociale (a Salerno), o nelle mense della Caritas. Toccare con mano quello che già tutti sanno, ma che si preferisce non vedere. Migliaia di persone che mangiano lì perché non hanno alternative. Mangiano lì perché altrimenti resterebbero a pancia vuota.
Gente che fino a ieri aveva uno straccio di lavoro. E oggi neppure quello. Avevano famiglie. Oggi disgregate, anche perché i soldi sono finiti. E senza soldi certe tensioni esplodono.
«Non ho più niente. Nè una casa, né una famiglia. E neppure un lavoro. Tutto è precipitato in pochi anni. Sono passato da una vita dignitosa alla vita da strada. Neppure me ne sono accorto...»
A parlare è Antonio. Cinquanta anni, ma ne dimostra quindici di più. E' in fila per entrare nel ristorante sociale di Salerno. Insieme a lui quasi tutti italiani (più del settanta per cento). Gli uomini sono in maggioranza. Le donne – spesso – vengono per prendere generi alimentari e poi cucinano in qualche appartamento. Soprattutto per risparmiare ai figli l'umiliazione di quel pranzo alla mensa dei poveri.
E' un mondo che frana, da anni. Almeno dieci. Da quando le certezze sono iniziate a frantumarsi. Dal crack delle bolle finanziarie al disastro dell'economia reale.
Si parla spesso di famiglie che non arrivano alla terza settimana. Ma la situazione è peggiore. Ci sono interi nuclei familiari che neppure l'iniziano il mese. Non solo. Una percentuale sempre più alta di persone – soprattutto al Sud – è a rischio indigenza. Uno su due. Si cammina sul filo di lana. Un passo falso e si perde tutto. Un'incertezza mai così totale. E che coinvolge tutti. Soprattutto quella che una volta era considerata la classe media.
Dovrebbero rappresentare la prima emergenza del Paese. Ma siamo tutti presi dal referendum (per fortuna è finita), dalla questione immigrati, dal caos politico, dai presunti populismi, dall'Europa... Tutte vicende perennemente declinate con slogan. E per questo destinate a restare nel vento, come cori da stadio.
Ma la vera emergenza, la povertà dilagante, che ha colpito milioni di famiglie e bussa alle porte di altrettanti nuclei familiari, beh, quella resta sullo sfondo del dibattito. Troppo imbarazzante per l'ex quinta potenza mondiale. Stonava anche con il racconto favolistico del Paese fornito dal premier dimissionario. Non fa parte dell'agenda politica di quasi tutti i partiti. E chi ne parla lo fa solo strumentalmente: agita uno spettro, ma non fornisce la soluzione (anche perché il reddito di cittadinanza sic et simpliciter, non può essere una soluzione).
Fatevelo un giro alle mense della Caritas o in altri posti simili. Almeno per vedere una cosa. Che oggi serve davvero, serve a tenere in piedi questo disastrato Paese. Ci sono migliaia di volontari. Gente che certo non naviga nell'oro, ma che ha scelto di aiutare chi sta peggio. Forse è da loro che bisognerebbe ripartire. Dal loro spirito. E da quel desiderio di rendersi utili, per dare un senso e un valore alla comunità. Piuttosto che alimentare questo individualismo folle e senza futuro. Dove ognuno è solo. Costretto a fare i conti con una realtà che è precipitata all'improvviso. E che ha trasformato l'inconsapevole edonismo degli anni '80 in pura e inconsolabile disperazione.