di Luciano Trapanese
La fine del quarto potere. E questo era scontato: i quotidiani cartacei non incidono più sull'opinione pubblica. Ma dopo l'elezione di Trump alla Casa Bianca, il distacco tra la carta e il pubblico evidenzia anche un altro limite. Lo ammette il New York Times che chiede scusa per non aver compreso la portata del fenomeno Trump.
E cioè: il prestigioso giornale non ha capito fino a che punto il miliardario stesse incidendo sull'elettorato americano.
E' la fine dei giornali tradizionali intesi come media capaci di intercettare e in qualche modo influenzare il sentimento dei lettori. Uno più uno fa crack. Stop definitivo a un'epoca. Che è durata tanto. E tanto ha dato. Ma ora è un'altra storia. Si volta pagina.
Accade anche in Italia, naturalmente. Con i 5Stelle la storia è stata identica. Non solo si è sottostimata l'ascesa del Movimento di Grillo, ma si continua anche a non comprendere le ragioni profonde del successo pentastellato.
Come se i giornali restassero intrappolati in se stessi. In un cliché che prevede uno schema interpretativo e ignora che quello schema è saltato.
E quindi, il voto ai 5Stelle è stato per anni definito un voto di protesta. Un mal di pancia degli elettori. Una situazione temporanea, destinata a rientrare. Per qualche anno è stato anche trattato alla stregua di un evento folkloristico (i famosi Vaffaday), una strana deviazione dal consueto e immutabile percorso.
Proprio come con Trump. Troppo strano per essere vero. E infatti...
I giornali hanno raccontato un mondo che non c'è più. Al contrario di molti siti web.
E non è una questione di competenze, bravura o sensibilità. Niente di tutto questo.
I quotidiani seguono ancora – e per ovvie ragioni – uno schema verticale: io scrivo, tu leggi. Non c'è interazione con chi sfoglia il giornale. Non c'è confronto vero.
Il giornalista è lì, sul suo trespolo a raccontare, commentare, decifrare. Non comunica direttamente e continuamente con chi legge. Non c'è dialogo. Non c'è confronto. Resta chiuso nel suo piccolo mondo antico, anche quando tenta in tutti i modi di interpretarlo.
L'informazione digitale è orizzontale per definizione. Le opinioni sono commentate dai lettori. Apprezzate o criticate (spesso con spunti notevoli), anche in modo duro, sarcastico. A volte pure volgare. Ma c'è un confronto. Vero e reale.
C'è una continua analisi che consente di leggere l'opinione pubblica. Leggere, e non interpretare. Basta avere l'umiltà, che spesso manca a chi lavora nei giornali cartacei (non è una questione caratteriale, ma professionale).
Del resto – e sembra una banalità – per l'informazione digitale al centro c'è proprio il lettore. E questo consente di avere una diretta percezione di quello che “sente”.
E allora, dire che il voto ai 5Stelle è semplicemente un voto di protesta appare davvero fuori luogo. E' qualcosa di più profondo. Che ha dentro l'evaporazione dei partiti tradizionali, il crollo di antiche certezze (crack economico, rivoluzione digitale, fine del consueto mercato del lavoro), l'insicurezza dettata dal vacillare di una scala di valori che ha retto per tutto il '900, lo smarrimento del nuovo “proletariato”, formato da giovani, disoccupati e precari, il distacco ormai abissale dalle consuetudini della politica.
Tutti temi – con in aggiunta l'inquietudine suscitata dalle ondate migratorie -, che non sfuggono certo agli opinionisti dei giornali cartacei. Ma che vengono declinati con sistemi interpretativi un po' logori.
O sbrigativamente ritenuti “argomenti di pancia”. Quindi anche reali, ma che sono altro rispetto a una riflessione più “alta”.
Eppure basterebbe leggere i commenti dei lettori, per capire quanto quegli “argomenti di pancia” siano in effetti il cuore della nostra informazione. Un “cuore” che non solo la stampa, ma anche i partiti tradizionali, continuano a ignorare. Come si continua a etichettare semplicemente populisti i movimenti e i personaggi che ne fanno – magari a volte rozzamente - il centro del loro agire politico. Come Trump o i 5Stelle.